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domenica 5 agosto 2007

CRIMINI DI GUERRA ITALIANI

Crimini di guerra italiani
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Con crimini di guerra italiani ci si riferisce a quegli atti, contrari alle leggi e ai trattati internazionali, commessi dagli eserciti italiani nel corso della storia. Gli eccessi militari sono stati numerosi nelle guerre coloniali, in Africa e in modo particolare per quanto riguarda la guerra d'Abissinia in Etiopia, e durante la Seconda guerra mondiale in Grecia e Iugoslavia. La maggior parte degli omicidi e delle atrocità, nonostante le richieste delle parti coinvolte, per ragioni politiche non furono mai sottoposte ad un esame legale nel dopoguerra. Per mancanza degli atti legali e per le suddette ragioni politiche, i crimini di guerra italiani sono una parte di storia, ancorché ben documentata, assai poco conosciuta.
Africa
La "riconquista" della Libia
Slovenia 1942 - Il plotone di esecuzione composto da militari italiani e da belagardisti è pronto per l'esecuzione

Secondo alcune stime furono 21.123 i libici uccisi dalle truppe di occupazione (tra il 1911 e il 1932), tuttavia non è facile calcolare il numero di morti durante il periodo fascista in senso stretto, presumibilmente oltre la meta’ della cifra stimata.
La repressione italiana in Tripolitania e in Cirenaica avvenne tramite i tribunali militari speciali, per cui i processi avvenivano spesso all'aperto e in pubblico per confutare le notizie di esecuzioni sommarie. Gli imputati indigeni venivano il più delle volte condannati a morte e le sentenze immediatamente eseguite. Le accuse più diffuse erano quelle relative all'aiuto dato ai ribelli.
Deportazioni
Nel 1930 furono eseguite diverse deportazioni delle tribù che abitavano il Gebel cirenaico e la chiusura delle zavie (centri polivalenti senussiti). Il motivo delle deportazioni era da ricollegarsi alla ripopolazione del Gebel da parte di coloni italiani.
In queste deportazioni, durate 20 settimane, delle 100.000 persone ne arrivarono 85.000 (relazione del generale Cicconetti al generale Graziani). Le persone furono falcidiate dalla sete e dalla fame, a volte anche dall'aviazione italiana che li mitragliava a volo radente. Tra i vari episodi di crudeltà si ricorda l'abbandono di 35 indigeni, tra cui donne e bambini, nel deserto privi di acqua a causa di una rissa scoppiata tra loro; altri morti per fustigazioni e fatica. In alcuni casi furono persino avvelenate pozze d'acqua dove si abbeveravano gli animali e incendiati i campi e il loro raccolto.
In questo modo Graziani cerca di giustificare le deportazioni: "... lasciare le popolazioni nei loro territori di origine e dare ampia libertà di azione alle truppe per scovare e annientare i ribelli ovunque si trovassero. Non mi sfuggivano le tragiche conseguenze cui avrebbe condotto questo metodo perché conoscendo a fondo l'ignoranza delle popolazioni beduine, e l'opera su di essa compiuta dalla propaganda senussita, ritenevo che esse sarebbero state indotte a persistere nell'errore e a continuare a rifornire le masse armate di viveri, uomini, armi, donde sarebbe derivato lo sterminio pressoché totale delle popolazioni beduine della Cirenaica ...
La seconda via era quella di mettere le popolazioni in grado di non aver contatto con i ribelli ossia supplire con un intervento coattivo del Governo alla loro ignoranza e deficiente responsabilità risparmiandole agli orrori della guerra ... sarebbe stato meglio far sopportare a questa i disagi e le ristrettezze del concentramento ... anziché esporle allo sterminio. Questo spirito umanitario divenne oggetto di campagna diffamatrice nei confronti dell'Italia accusata di vilipendio e di offesa alla religione perché abbatteva i suoi templi, di atrocità e di ogni genere e perfino del getto dell'alto degli aeroplani di gente musulmana! Nulla di più spudorato ... Oggi quelle popolazioni a rischio sterminio sono avviate a raggiungere quel livello di vita civile ed economica che ingentilirà i loro costumi nobiliterà i loro cuori e costituirà il primo fattore della loro felicità. Marsa el Brega, Agheila, Sidi hamed el Magrum oggi hanno l'aspetto di piccoli villaggi".
Il 31 luglio 1930 l'oasi di Taizerbo viene bombardata con bombe all'iprite. Cufra, città santa per gli islamici considerata da Graziani "centro di raccolta di tutto il fuoriuscitismo libico" è bombardata il 26 agosto e i ribelli inseguiti verso il confine con l'Egitto. Lo stesso Graziani parla di 100 uccisi, 14 passati per le armi e 250 prigionieri tra cui donne e bambini; anche se in realtà il bilancio complessivo è molto più alto.
Il 20 gennaio 1931 Cufra è occupata; ne seguirono tre giorni di saccheggi e violenze di ogni genere, eseguite dai soldati italiani col tacito assenso dei superiori: impiccagioni, evirazioni, stupri, fucilazioni ed esecuzioni con baionette, sciabole e accette.
Il giornale di Gerusalemme "Al Jamia el Arabia" pubblica il 28 aprile 1931, un manifesto in cui si ricordano: "alcune di quelle atrocità che fanno rabbrividire: da quando gli italiani hanno assalito quel paese disgraziato, non hanno cessato di usare ogni sorta di castigo ... senza avere pietà dei bambini, nè dei vecchi ...".
La guerra di conquista dell'Etiopia
Con il termine Guerra d'Etiopia o Guerra Italo-Etiopica 1935-1936 (talvolta nota anche come Guerra d'Abissinia o Campagna d'Etiopia) ci si riferisce ai combattimenti tra le forze italiane ed etiopi durati sette mesi tra il 1935-1936.
Preludio
Dopo il 1929 l'espansione imperiale divenne uno dei temi favoriti del governo fascista di Mussolini che aspirava alla ricostruzione di un impero, sullo stile dell'Impero romano; difatti, osservava Mussolini, Gran Bretagna e Francia possedevano importanti imperi in Africa, così come molte altre nazioni europee. L'Abissinia, inoltre era l'unico stato, insieme alla Liberia, ancora indipendente, e quindi una sua eventuale invasione non doveva provocare, in teoria, nessun intervento internazionale. Oltre a ciò la vicinanza con l'Eritrea ad est e la Somalia Italiana a sud, potevano determinare la creazione di un'importante zona di influenza italiana. Non da ultimo, il livello militare delle truppe etiopi era basso, e il paese ricco di risorse naturali; e d'altro canto si poteva vendicare la sconfitta patita durante la campagna d'Africa Orientale nel 1896.
Le incursioni italiane
Il trattato che delimitava il confine tra la Somalia Italiana e l'Abissinia, situava il confine a 21 leghe parallele alle coste della regione del Benadir. Il governo italiano re-interpretò questa distanza, dalle 21 leghe nautiche alle 21 leghe standard, in modo da ingrandire il territorio posto sotto il proprio controllo. Per vincolare questa situazione venne inoltre costruito, nel 1930, un forte presso l'oasi di Walwal nella zona desertica dell'Ogaden, venendo pertanto meno agli accordi del Trattato Italo-Etiope del 1928. Inoltre, a partire dal 1932, vennero costruitre tutta una serie di importanti strade nella Somalia Italiana, che però varcavano significativamente il confine somalo-abissino.
Nel novembre del 1934, truppe territoriali abissine accompagnarono una commissione anglo-etiopica di controllo per protestare contro le continue e ripetute incursioni italiane: tuttavia ben presto i membri britannici della commissione si ritiratono per evitare un incidente internazionale. All'inizio di dicembre dello stesso anno, il livello della tensione aumentò considerevolmente con una serie di brevi scontri di confine che provocarono la morte e il ferimento di poco meno di 150 abissini e 50 italiani. Ciò provocò la cosiddetta crisi abissina all'interno della Società delle Nazioni, che fece partire un richiamo ufficiale, ad entrambi le parti, per gli incidenti di Walwal del settembre 1935.
L'Italia iniziò allora ad ammassare le proprie forze lungo il confine, in Eritrea e nella Somalia Italiana. Con un attacco ritenuto ormai inevitabile, l'Imperatore Haile Selassie ordinò la mobilizzazione generale. Con le reclute, le forze etiopiche raggiunsero i 500.000 uomini, molti dei quali, comunque, muniti di armi primitive quali lance e archi.
L'attacco italiano
Nell'ottobre del 1935. Il generale De Bono ordina ai 3 corpi d'armata italiana di passare il confine del Mareb (confine eritreo) avendo come primo obiettivo Adua e Adigrat. I militari italiani avanzano senza incontrare resistenza. L'aviazione, intanto, bombarda Adua e Adigrat facendo numerose vittime tra i civili.
Il 6 ottobre l'armata italiana entra ad Adua incontrando poca resistenza
Il 3 ottobre 1935 100.000 soldati italiani ed un considerevole numero di Áscari, sotto il comando del maresciallo Emilio De Bono iniziarono ad avanzare dalle loro basi in Eritrea, senza una dichiarazione di guerra ufficiale. Alla stessa data, un contingente comandato dal generale Rodolfo Graziani, mosse da sud, dalla Somalia Italiana. Il 6 ottobre venne occupata Adua, cittadina presso la quale gli italiani avevano subito una cocente sconfitta durante la campagna d'Africa Orientale poiché Hailè Selassiè ha scelto la tattica del ripiegamento per portare i nemici al centro del paese, lontano dai loro centri di rifornimento. De Bono, intanto, provvede al rafforzamento delle posizioni occupate costruendo strade, impianti di linee telefoniche, allestendo campi militari. Conoscendo le abitudini dei militari De Bono il 15 ottobre, vigilia dell'occupazione di Axum, scriverà al generale Maravigna: "Allo scopo di evitare che si ripetano ad Axum depredazioni e danneggiamenti come si è verificato ad Adua, prego disporre che l'ingresso della città sia di massima interdetto ai militari sia metropolitani che indigeni, disponendo un servizio di vigilanza e perlustrazione all'interno della città stessa."
Il 15 ottobre venne occupata Axum, la capitale religiosa dell'Etiopia. La Società delle Nazioni condannò l'aggressione italiana il 7 ottobre, e iniziò un lento processo per imporre sanzioni: sanzioni che non riguardavano materie di vitale importanza, come ad esempio il petrolio. Gran Bretagna e Francia argomentarono infatti che la mancata fornitura di petrolio all'Italia poteva essere facilmente aggirata ottenendo rifornimenti dagli Stati Uniti, che non erano membri della Società stessa. Venne perciò elaborato un controverso compromesso, noto come Patto Hoare-Laval, che comunque non presentava vere e proprie sanzioni per l'Italia, e che per questo venne rigettato dal governo etiopico.
Il 28 novembre De Bono venne sostituito dal generale Pietro Badoglio, dato che Mussolini lo riteneva troppo cauto nella sua avanzata. La condotta della guerra ebbe un'accelerata col cambio della guardia al vertice del fronte nord, e con l'utilizzo del terribile gas iprite, contenuto in bombe di nuova produzione, le più famigerate delle quali erano le C500T, dove T stava per 'Temporizzata': un meccanismo a spoletta le faceva esplodere in quota in modo da spandere al massimo il raggio d'azione del gas. L'iprite fu utilizzata anche sul fronte sud al comando di Graziani; recenti studi storiografici riconducono in ultima analisi la responsabilità sull'uso dei gas (non solo iprite ma anche arsine nei colpi d'artiglieria) direttamente a Mussolini, che in diversi ordini telegrafati ai due comandanti al fronte ne aveva autorizzato l'uso. I gas, vietati dalla Convenzione di Ginevra del 1925, e alcuni attacchi su ospedali da campo internazionali causarono profonda riprovazione nell'opinione pubblica internazionale, che favorì il varo delle sanzioni economiche della Società delle Nazioni contro l'Italia. Pure i soldati abissini utilizzavano armi proibite, in modo particolare i proiettili esplosivi Dum Dum, anch'essi vietati dalla Convenzione di Ginevra ma forniti regolarmente da Inghilterra e Svezia.
Il 29 marzo 1936 le forze di Graziani bombardarono la città di Harar; e due giorni dopo le forze italiane vennero impegnate nel più significativo scontro contro le forze etiopiche: la battaglia di Maychew. Il 2 maggio Haile Selassie fuggì in esilio e il 5 maggio le truppe di Badoglio entrarono nella capitale Addis Abeba.
Il 7 maggio l'Italia annetté ufficialmente il Paese, e il Re d'Italia Vittorio Emanuele III, venne proclamato Imperatore d'Etiopia (9 maggio). Eritrea, Abissinia e Somalia Italiana vennero riunite sotto un unico Governatore, e il nuovo possedimento coloniale venne denominato Africa Orientale Italiana.
Dal 22 dicembre al 18 gennaio 1936 vengono lanciati sul fronte nord duemila quintali di bombe, per una parte rilevante caricate a gas tra cui l'iprite (solfuro di etile biclorurato), che provoca la necrosi del protoplasma cellulare e morte.
Sul fronte sud Graziani decide di utilizzare in modo massiccio l'aviazione, ottenendo da Mussolini stesso libertà d'azione per l'uso dei gas asfissianti.
Nella testimonianza di ras Destà all'imperatore si racconta: "Dal 17 dicembre gli italiani gettano anche bombe a gas, le quali piovono come la grandine... Le lesioni, anche leggere, prodotte da tale gas gonfiano sempre più sino a diventare, per infezioni delle grandi piaghe".
Successivi attacchi conducono persino ad un bombardamento di tende e automezzi di un ospedale da campo svedese con i contrassegni della Croce Rossa provocando morti e feriti. La notizia farà il giro del mondo.
Il 10 febbraio Badoglio inizia l'offensiva sull'Amba Aradan durante la quale vengono sparate molte granate caricate con arsine. Nello stesso luogo vengono catturati due europei al servizio del negus, il medico polacco Belau e il suo assistente che verranno torturati perché ritrattino la dichiarazione inviata alla Società delle Nazioni, che denunciavano il bombardamento indiscriminato di Dessiè.
Il 3 e 4 marzo Badoglio, vedendo fuggire il grosso dell'esercito del ras Immirù verso i guadi del Tacazzè, ordina all'aviazione di proseguire da sola la battaglia. Verrà così utilizzata ancora una volta iprite. I piloti che scendono a volo radente per mitragliare i superstiti rilevano notevoli masse nemiche abbattute e grande quantità di uomini e di quadrupedi trasportati dalla corrente.
Il 29 marzo è lo stesso Mussolini a rinnovare l'autorizzazione per l'uso di gas di qualunque specie.
Il 4 aprile gli scampati alla battaglia di Mau Ceu verranno bombardati con 700 quintali di bombe, di cui molte ad iprite. Hailè Selassiè racconta: "Per gli aviatori italiani non era più guerra era un gioco. Quale era il rischio nel mitragliare dei cadaveri e dei morenti i cui occhi erano bruciati dai gas?"
Il giornalista Cesco Tomaselli racconta: "Le bombe esplodono nel fitto degli uomini che arrancano curvi, tenendo le mani sulla testa come si fa quando si è colti da una grandinata sui campi."
Il 15 aprile Graziani dà inizio all'offensiva su Harar dopo aver gasato e bombardato per un mese la difesa etiope iniziando così l'attacco da terra. Il vescovo cattolico di Harar scrive ai suoi superiori in Francia: "Il bombardamento che gli italiani hanno fatto contro la città è un atto barbaro che merita la maledizione del Cielo".
Da un telegramma di Mussolini a Badoglio: "Occupata Addis Abeba V.E darà ordine perché: 1) siano fucilati sommariamente tutti coloro che in città o dintorni siano sorpresi con le armi alla mano, 2) siano fucilati sommariamente tutti i giovani etiopi, barbari, crudeli, pretenziosi, autori motali dei saccheggi, 3) siano fucilati quanti abbiano partecipato a violenze, saccheggi, incendi 4) siano sommariamente fucilati quanti, trascorse 24 ore, non abbiano consegnato armi da fuoco e munizioni."
Il cronista G. Steer scrive: "Gli italiani istituirono immediatamente la pena di morte per due reati: il primo riguardava la partecipazione al saccheggio, il secondo il possesso di armi... Ottantacinque etiopi, accusati di saccheggio, furono giudicati e condannati a morte da una corte sommaria. Ma le fucilazioni eseguite dai carabinieri sul posto furono molte di più, ed esse vennero fatte senza alcuna parvenza di processo. Se oggetti che essi ritenevano rubati venivano scoperti in un tucul, il proprietario era immediatamente ucciso. Inquirenti francesi hanno calcolato che almeno 1.500 sono stati liquidati in questo modo".
La vittoria e l'impero
La vittoria venne ufficialmente comunicata da Mussolini al popolo italiano la sera del 5 maggio 1936, dopo un messaggio del maresciallo Pietro Badoglio, comandante delle truppe italiane sul fronte eritreo. Pochi giorni dopo, il 9 maggio 1936, il Duce proclamò la nascita dell'impero, riservando per Vittorio Emanuele III la carica di imperatore d'Etiopia e per se quella di Primo Maresciallo dell'Impero.
La condanna internazionale della Società delle Nazioni comportò l'uscita dell'Italia dalla Lega stessa; mentre la nuova colonia trovava una difficile pacificazione con continui attacchi della guerriglia e risposte italiane con l'impiego di gas velenosi e la fucilazione dei ribelli.
Le repressioni in Africa Orientale Italiana dopo la proclamazione dell'Impero
Nei primi giorni del giugno 1936 Mussolini telegrafa a Graziani con i seguenti ordini:
"Tutti i ribelli fatti prigionieri devono essere passati per le armi"
"Per finirla con i ribelli...impieghi i gas"
"Autorizzo ancora una volta V.E a iniziare e condurre sistematicamente la politica del terrore e dello sterminio contro i ribelli e le popolazioni complici."
Così nel timore che la popolazione insorga i carabinieri operano arresti di massa di etiopi adulti. Poggiali afferma: "Probabilmente la maggior parte è innocente persino di quanto accaduto. Trattamento superlativamente brutale da parte dei carabinieri, che distribuiscono scudisciate e colpi di calci di pistola".
Secondo gli ordini di Mussolini, tutti i capi catturati verranno passati alle armi e il villaggio di Goggetti, in cui si sono rifugiati i ribelli, dato alle fiamme. Ecco l'ordine telegrafato: "È inteso che la popolazione maschile di Goggetti di età superiore ai 18 anni deve essere passata per le armi e il paese distrutto"
Ma un fallito attentato a Graziani si scatena la reazione ancora più violenta degli italiani. Il 17 febbraio 1937 Graziani invita nel suo palazzo di Addis Abeba la nobiltà etiope per festeggiare la nascita del principe di Napoli e per l'occasione decide di distribuire una elemosina ad invalidi del luogo (ciechi, storpi, zoppi ). La testimonianza di un medico ungherese presente, sottolinea la dura rappresaglia seguita al fallito attentato. Anche le immagini del filmato Fascist Legacy della BBC mostrano come nessun etiope uscì vivo dal cortile dove si teneva la cerimonia.
Proseguono le violenze, vengono inquinati i terreni con aggressivi chimici, abbattuto il bestiame. Molti uomini bruciati vivi, altri lapidati o squartati. Mussolini con un fonogramma impone che ogni civile sospettato sia fucilato senza processo.
Il numero esatto delle vittime della repressione è di 30.000 per gli etiopi, tra i 1.400 e i 6.000 per inglesi, francesi e americani.
Dal 30 aprile 1937 le esecuzioni sono passate a 710, il 5 luglio a 1686, il 25 luglio a 1878 e il 3 agosto a 1918. Dalla relazione del colonnello Hazon si evince che i soli carabinieri hanno passato per le armi 2.509 indigeni.Alcuni episodi raccontati dallo stesso Graziani testimoniano che le esecuzioni avvenivano spesso senza la minima prova.
Graziani, alla fine dell'anno, verrà sostituito con il Duca d'Aosta.

«La rappresaglia deve essere effettuata senza misericordia su tutti i paesi del Lasta... Bisogna distruggere i paesi stessi perché le genti si convincano della ineluttabile necessità di abbandonare questi capi... lo scopo si può raggiungere con l'impiego di tutti i mezzi di distruzione dell'aviazione per giornate e giornate di seguito essenzialmente adoperando gas asfissianti.»

(Generale Graziani)
I campi di concentramento nell'Africa italiana
Nell'Africa Italiana si contavano diversi campi di concentramento (16 in Libia, 1 in Eritrea, 1 in Somalia). Nei campi vennero inviate sia le tribù allontanate dal Gebel el- Achdar sia gli indigeni appartenenti a tribù seminomadi vaganti attorno alle oasi o all'interno.
Nei 4 campi di rieducazione venivano inviati giovani appartenenti a tribù più evolute per trasformarli in impiegati utili all'amministrazione coloniale.
Infine nei 3 campi di punizione venivano inviati tutti coloro che avevano commesso reati o ostacolato l'occupazione italiana.
Dalla testimonianza di un sopravvissuto, Reth Belgassen recluso ad Agheila: "Dovevamo sopravvivere con un pugno di riso o di farina e spesso si era troppo stanchi per lavorare... ricordo la miseria e le botte... Le nostre donne tenevano un recipiente nella tenda per fare i bisogni... avevano paura di uscire rischiavano di essere prese dagli etiopi o dagli italiani…le esecuzioni avvenivano... al centro del campo e gli italiani portavano tutta la gente a guardare. Ci costringevano a guardare mentre morivano i nostri fratelli. Ogni giorno uscivano 50 cadaveri."
Nella propaganda fascista "L'Oltremare" si affermava: "... Nel campo di Soluch c'è ordine e una disciplina perfetta e regna ordine e pulizia".
L'eccidio di Amezegna Washa
Tra il 9 e 1'11 aprile 1939 una carovana di «salmerie» dei partigiani di Abebè Aregai, leader del movimento di liberazione, rifugiata in una grotta dopo essere stata individuata dall'aviazione italiana, non accennando ad una resa pur essendo circondata venne attaccata con gas tossici, tra cui l'iprite.
Le «salmerie» della resistenza etiope erano in prevalenza vecchi, donne e bambini, parenti degli uomini in armi, che garantivano la cura dei feriti e il sostentamento dei partigiani alla macchia.
Durante questo eccidio una parte morì avvelenata e circa 800 si arresero all'alba del giorno 11 aprile: Ottocento persone il mattino stesso vennero fucilate; i morti saranno più di mille, fucilati dopo la resa o avvelenati con i gas nella grotta dove si erano rifugiati, tra loro donne e bambini.

L'occupazione della Iugoslavia
[La repressione politica e le istruzioni militari
Dai documenti redatti dall'Alto Commissario Emilio Grazioli, ma anche da quelli dei generali Roatta, Robotti e Gambara, emerge un conflitto che non si limita alla repressione contro il Fronte di Liberazione, ma che parte da una diversa visione politica del rapporto tra vincitori e vinti, tra razza dominatrice e popolazione assoggettata: quindi marcatamente razzista.
Secondo il generale Orlando: "... è necessario eliminare: tutti i maestri elementari, tutti gli impiegati comunali e pubblici in genere (A.C., Questura, Tribunale, Finanza ecc.), tutti i medici, i farmacisti, gli avvocati, i giornalisti, ... i parroci, ... gli operai, ... gli ex-militari italiani, che si sono trasferiti dalla Venezia Giulia dopo la data suddetta".
Orlando, intende l'eliminazione della massa attraverso la deportazione di migliaia di uomini nei campi di concentramento, che i comandi militari hanno aperto in Italia e in Dalmazia per sloveni e croati.
Viene anche adottata la politica dell'affamamento e della rapina, praticata dai comandanti italiani, tra gli altri il gen. Danioni che progetta di: "Procedere alla requisizione dei raccolti lasciando ad ogni singolo proprietario il puro necessario per non morire di fame".
Mario Roatta propone inoltre la deportazione: "di tutti i disoccupati e degli studenti per farne unità di lavoratori".
Inoltre viene condotta una repressione contro gli intellettuali (docenti e studenti dall'università alle scuole inferiori) essendo considerati la colonna portante del movimento partigiano.
L'11 luglio 1942 Robotti scrive a Grazioli dopo le ennesime "operazioni di rastrellamento ed epurazione politica", effettuate dal 24 giugno al 1 luglio a Lubiana e nella provincia è stata attuata la deportazione nei campi di più di 5.000 uomini (tra i 16 e i 50 anni); mentre il comandante dell'XI Corpo d'Armata lamenta che: "il mancato rastrellamento di donne, specialmente insegnanti di scuole medie ed elementari, che hanno notoriamente svolto e tuttora svolgono attiva opera di propaganda comunista e di assistenza ai partigiani, ha prodotto cattiva impressione".
Nel corso di una riunione con i vertici delle Forze armate di Roma e della II Armata, tenuta a Gorizia il 31 luglio 1942, Mussolini approva le analisi e le decisioni di Roatta: "Come avete detto è cominciato un nuovo ciclo che fa vedere gli italiani come gente disposta a tutto, per il bene del paese ed il prestigio delle forze armate ... Non vi preoccupate del disagio economico della popolazione. Lo ha voluto! Ne sconti le conseguenze ... Non sarei alieno dal trasferimento di masse di popolazioni".
I campi di concentramento
La scelta di costituire campi di concentramento per i civili viene concepita dapprima per neutralizzare gli elementi ritenuti pericolosi per l'ordine pubblico; ma successivamente le deportazioni crescono, coinvolgendo quote sempre più vaste di popolazione soprattutto quella rurale.
In un vertice tenuto a Fiume il 23 maggio 1942, Roatta annuncia l'appoggio di Mussolini alla linea dura dei generali: "Anche il Duce ha detto di ricordarsi che la miglior situazione si fa quando il nemico è morto. Occorre quindi poter disporre di numerosi ostaggi e di applicare la fucilazione tutte le volte che ciò sia necessario... Il Duce concorda nel concetto di internare molta gente - anche 20-30.000 persone."
A partire dal luglio 1942 le divisioni italiane, con grandi operazioni di rastrellamento alla caccia delle formazioni partigiane, svuotano il territorio in cui queste sono più presenti, deportando la popolazione dei villaggi in campi di concentramento costituiti appositamente. Si tratta soprattutto di donne, bambini ed anziani, poiché gli "uomini validi" fuggono nei boschi alla vista dei reparti italiani, per evitare di essere presi come ostaggi e fucilati nelle quotidiane rappresaglie decretate dai tribunali militari di guerra.
Ma dai documenti degli stessi generali italiani emerge anche la determinazione per cui le rappresaglie contro i civili devono essere un'arma di pressione contro i partigiani del Fronte di Liberazione, che tengono in scacco una grossa parte dell'esercito italiano.
Tra l'estate del 1942 e quella del 1943 furono attivi sette campi di concentramento per civili sotto il controllo della II Armata (che aveva la competenza su Slovenia e Dalmazia).
Stabilire oggi il numero dei deportati risulta assai difficile, sia per la frammentarietà degli archivi consultabili, sia perché le stesse autorità italiane scrivevano di non avere un quadro delle situazione. Secondo alcune stime si conterebbero almeno 20.000 civili sloveni internati. Mentre un documento del Ministero degli interni italiano, databile alla fine dell'agosto 1942, indica un complesso di 50 mila elementi circa, sgombrati dai territori della frontiera orientale in seguito alle operazioni di polizia in corso, di cui la metà donne e bambini.
La causa principale delle morti nei campi era la fame e il freddo. Già nel maggio 1942 una lettera di un dirigente cattolico di Lubiana segnala alle autorità militari italiane, che "nel campo di concentramento di Gonars ... gli internati soffrono atrocemente la fame". Dal rapporto destinato ai comandi militari e redatto da un ufficiale medico, emerge un livello di alimentazione insufficiente ed una situazione igienica inadeguata. Lo stesso afferma che la insufficienza alimentare si moltiplica per il freddo e la dispersione di calore corporeo vivendo i civili sotto tende, con abiti estivi e coperte insufficienti.
Secondo le autorità italiane, fino al 19 novembre 1942, ad Arbe i morti erano stati 289 (di cui 62 bambini).
Significative a questo proposito, sono le affermazioni del generale Gambara, in data 17/12/1942 : "Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d'ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo"; inoltre: "Le condizioni da deperimento dei liberati di Arbe sono veramente notevoli - ma Supersloda da tempo sta migliorando le condizioni del campo. C'è da ritenere che l'inconveniente sia praticamente eliminato".
Della gravità della situazione nei campi scrivono anche ufficiali dei Carabinieri Reali nei loro rapporti ai comandi: "... nei campi di concentramento ... la vita è davvero grama e fiacca il corpo e lo spirito. Particolarmente nel campo di Arbe, le condizioni di alloggiamento e del vitto sono quasi inumane: viene riferito che frequenti sono i casi di morte, gravi e frequentissime le malattie" e inoltre richiamano "vari casi di decesso provocati dalla scarsità del vitto e da malattie epidemiche diffusesi per deficienza di misure sanitarie".
I campi di concentramento rimasero attivi fino al disfacimento dell'esercito italiano, avvenuto in seguito dell'armistizio dell'8 settembre 1943 e la conseguente cessazione delle ostilità da parte delle truppe monarchiche italiane verso le forze di liberazione jugoslave.
Inchieste sui criminali di guerra italiani
Militare italiano colpisce un condannato a morte (dall'Archivio della Fondazione Istituto per la storia dell'età contemporanea - Isec Onlus)


I crimini di guerra italiani furono sostanzialmente impuniti a causa della posizione politica assunta dall'Italia dopo l' 8 settembre. Al termine della guerra infatti gli alleati operarono una vasta operazione di copertura dei crimini di guerra. Gli unici processi effettuati riguardavano crimini commessi in Italia contro Italiani, ma mai furono aperti processi per crimini commessi all'estero. Le nazioni colpite dall'occupazione italiana cercarono di ottenere l'estradizione di svariati dirigenti militari, senza alcun successo. In particolare venivano accusati sia il generale Pietro Badoglio che Rodolfo Graziani, i quali non subirono mai un processo.
Successivamente i nuovi governi democratici Italiani operarono un'opera di copertura sui crimini, tanto che fino ad oggi, essi risultano poco noti.
Letteratura
Lidia Santarelli: "Muted violence: Italian war crimes in occupied Greece", Journal of Modern Italian Studies, September 2004, vol. 9, no. 3, pp. 280-299(20); Routledge, part of the Taylor & Francis Group [1]
Effie G.H. Pedaliu: Britain and the ‘Hand-Over’ of Italian War Criminals to Yugoslavia, 1945–48,Journal of Contemporary History, Vol. 39, No. 4, 503-529 (2004)[2]
Pietro Brignoli: Santa messa per i miei fucilati, Longanesi & C., Milano, 1973 [3]
H James Burgwyn: General Roatta's war against the partisans in Yugoslavia: 1942, Journal of Modern Italian Studies, September 2004, vol. 9, no. 3, pp. 314-329(16) [4]
Gianni Oliva: 'Si ammazza troppo poco'. I crimini di guerra italiani. 1940-43, Mondadori, 2006, ISBN 8804551291
Angelo Del Boca: 'Italiani, brava gente?', Neri Pozza Editore, Vicenza 2005, ISBN 88730500135
Marcel Junod: "Il Terzo Combattente: dall'iprite in Abissinia alla bomba atomica di Hiroshima", Franco Angeli, 2006, ISBN 8846479831