quarta di copertina da "I Simpson e la filosofia"

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venerdì 10 agosto 2007

FASCISMI E DEMOCRAZIE NEGLI ANNI '30 esposizione

Fascismi e democrazie in Europa negli anni Trenta del XX secolo

1. L’accoglienza del Fascismo italiano e del Nazismo tedesco in Europa

Fascismo, Fascismi, Nazismo
Il termine Fascismo e l’ispirazione originaria del movimento sono di origine italiana, essendo stato Mussolini a chiamare Fasci di combattimento i suoi gruppi di squadristi nel 1919. Fui poi lo stesso Mussolini a prendere il potere e a dar vita al primo governo e al primo Stato fascista in Europa negli anni Venti e quindi a far da modello per altri movimenti analoghi in Europa. Poiché tra gli anni Venti e gli anni Trenta nacquero molti movimenti di questa natura, e molti uomini politici si ispirarono a questo o quel tratto del Fascismo, si utilizza l’espressione anche al plurale parlando di Fascismi per intendere un’area politica tutto sommato ben identificabile caratterizzata da un complesso di elementi sociali e da alcuni tratti politici.
Negli anni Venti e Trenta il fenomeno rimase prevalentemente europeo, ma il Fascismo come ideologia e pratica di governo si dimostrò poi molto vitale in altre aree, come l’America Latina, il Medio ed Estremo Oriente, dove nella seconda metà del Novecento lo ritroveremo in molte varianti locali o come motivo ispiratore di partiti al potere che non potranno dirsi fascisti ma che saranno comunque fortemente influenzati dal Fascismo.
Poiché alcuni motivi ispiratori di fondo sono simili, anche il Nazismo può essere letto come un movimento di natura fascista, ma con una differenza fondamentale: il Nazismo fu una ideologia a base razzista, e trasse dal Fascismo alcuni elementi inserendoli però nel contesto di una visione dell’uomo e della società ispirata in modo assoluto all’imperativo della razza. Molti Fascismi europei furono influenzati dal razzismo nazista, ma i caratteri di assolutezza del movimento hitleriano gli sono propri e specifici.
Fascismo e Nazismo - che dal 1939 furono alleati e poterono quindi essere visti in un unico quadro d’insieme almeno fino al 1943, la data in cui il regime di Mussolini crollò in Italia – poterono quindi contare non solo sull’appoggio in Europa di moltissimi movimenti Fascisti o vicini al Fascismo che finirono col prendere il potere, ma anche su una rete di simpatie e di amicizie anche presso paesi e governi ostili, perché molti uomini politici anche nelle grandi democrazie occidentali furono influenzati da queste nuove ideologie.

I Fascismi e la crisi del dopoguerra
L’origine storica dei Fascismi è la guerra mondiale, nel senso che essi scaturirono in tutta Europa (non solo in Italia e in Germania) in risposta a tre precisi eventi:
- la situazione di radicale precarietà di vita e di smarrimento sui valori in cui grandi masse di tutti i ceti sociali si trovarono al termine di una guerra che non aveva soltanto ucciso milioni di persone e impoverito tutti, ma aveva anche azzerato sistemi di valori e fatto precipitare l’Europa in un’epoca di barbarie, in cui la vita umana per molti non valeva più nulla e la violenza organizzata appariva la via maestra per la soluzione dei problemi; questa situazione di crisi si aggravò in conseguenza del crollo di Wall Strett del ’29;
- il crollo dello Stato liberale, ucciso dalla guerra, ma già in seria crisi per il modo in cui essa era nata;
- l’ingresso di grandi masse nel sistema politico, in particolare delle masse operaie e contadine.
Da questo punto di vista è importante sottolineare che i movimenti fascisti poterono crescere e consolidarsi là dove questo avvenne solo con il determinante appoggio della grande proprietà terriera e industriale: l’appoggio di uomini cioè che non erano affatto per lo più ideologicamente fascisti, e spesso anzi apertamente lo disprezzavano, ma intendevano soltanto sfruttare il suo potenziale distruttivo nei confronti delle sinistre, ed in particolare del comunismo di tipo sovietico.
Da questo punto di vista è molto importante il carattere di massa dei Fascismi, che intesero sempre la loro “rivoluzione” come il prodotto di una volontà unitaria del “popolo” a cui diedero obiettivi, metodi, strumenti operativi. Da qui l’uso dei termini sociale, socialista e simili negli stessi nomi dei partiti, in diretta opposizione con le sinistre nel cui campo però il Fascismo ambiva ad operare.

Alcuni caratteri comuni dei Fascismi europei
I Fascismi europei ebbero alcuni tratti comuni anche perché si ispirarono ai modelli vincenti (quello italiano, poi anche quello tedesco negli anni Trenta) e furono influenzati dalla stessa situazione di crisi del dopoguerra. Ebbero tutti:
- un culto dell’azione diretta e la disponibilità all’uso della violenza come espressione di vitalità e di forza, in assoluto disinteresse per le conseguenze sull’uomo di questa disponibilità; benché i modelli fascisti si siano imposti anche presso il mondo femminile, caratterizzando in senso forte la donna come moglie e madre, questa ideologia esaltava la supremazia maschile con i caratteri della forza e della lotta come valori assoluti; ovvio il fatto che il diritto di fronte alla forza sia stato considerato semplicemente un nulla, e che i Fascismi al potere abbiano riscritto su basi del tutto nuove le norme del vivere collettivo; in questo senso i Fascismi poterono parlare di rivoluzione a proposito della loro azione;
- l’esaltazione del nazionalismo come valore centrale e del militarismo come elemento trainante della società, in pieno accordo con le tradizioni del periodo prebellico, cui esplicitamente Mussolini e Hitler si poterono richiamare;
- la considerazione della masse come un insieme unitario, la cui volontà politica deve essere altrettanto unitaria ed è espressa da un uomo superiore, un capo (che si chiami Duce, Fürer, Caudillo, o in altro modo la nozione di fondo non cambia) a cui tutti devono obbedienza e fedeltà assolute come propria guida, perché incarna nella sua persona la totalità del popolo; i fascisti esaltarono quindi in politica il culto della personalità e crearono sistemi di governo assoluti che facevano capo ad una sola persona verso la quale tutta la propaganda era orientata, con aspetti di culto quasi religioso (una religione della patria, o della razza, o di altri valori, incarnati in modo assoluto dal capo);
- l’adozione di principi nuovi sul lavoro e nei rapporti in fabbrica e sui campi tra proprietà e lavoratori, col più aperto rifiuto della lotta di classe e l’adozione di modelli corporativi.

La reazione in Europa al sorgere del Fascismo italiano e del Nazismo tedesco
Soprattutto dopo la crisi del ’29 e l’ascesa al potere di Hitler in molti paesi europei i governi assunsero tratti ispirati al Fascismo italiano o al Nazismo tedesco, a volte senza la dissoluzione delle tradizionali istituzioni liberali, che risultarono però svuotate di significato. Questo accadde in Austria, in Ungheria, in diversi paesi dell’est (dalla Polonia alla Romania alle Repubbliche Baltiche, e così via). Ed anche dove i governi mantennero un orientamento diverso, nacquero però partiti di ispirazione fascista che ne condizionarono l’operato.
Persino nelle più consolidate democrazie occidentali, come l’Inghilterra, vi furono singole personalità politiche (o addirittura membri della famiglia reale) che espressero simpatie per il Fascismo e in qualche caso per il Nazismo. E questo contribuisce a spiegare il largo credito di cui poté godere Hitler fino alla guerra mondiale.
Ma già dopo il 1925 Mussolini era stato apprezzato anche in ambienti lontani dalle ideologie fasciste per il modo in cui aveva risolto la crisi italiana, e poté così godere per alcuni anni della stima di molti statisti europei. Nel Fascismo, e all’inizio neppure nel Nazismo non si vide subito il potenziale eversivo in termini di dissoluzione dei tradizionali rapporti europei, anche se Hitler non ne aveva mai fatto mistero e aveva nel Mein Kampf descritto minuziosamente la sua idea d’Europa.
Un caso particolare risultò la Spagna, dove il Fascismo prese il potere in circostanze drammatiche.



2. La guerra civile spagnola

La Spagna nel primo Novecento
Nel corso della seconda metà dell’Ottocento la Spagna era andata incontro a seri problemi di successione dinastica che avevano determinati attriti tra le grandi potenze al tempo della guerra franco-prussiana ed anche forti tensioni interne, sfociate nella proclamazione di una effimera repubblica. Poi prevalse su tutti i pretendenti Alfonso XII dell’antico ramo spagnolo dei Borbone. Il suo successore. Alfonso XIII, poté regnare in condizioni di relativa stabilità fino agli anni Venti del nuovo secolo.
Il paese era ancora fortemente arretrato, con una agricoltura in mano ad una ristrettissima elite di origine feudale (l’1% dei proprietari terrieri possedeva il 42% della terra coltivabile). Ma le correnti di industrializzazione cominciavano ad interessarla, e con la nascita dell’industria anche la classe operaia si consolidava e con essa anche le idee socialiste e anarchiche (nel paese aveva avuto una forte presa la figura e il pensiero di Bakunin). Il sistema politico era basato su una costituzione introdotta al momento della presa del potere da parte di Alfonso XII che poneva al centro la classe dei notabili e garantiva il persistere di una società tradizionalista e autoritaria, in cui i valori religiosi tradizionali, ancora molto sentiti, si coniugavano con una gerarchia sociale rigida.
Il paese però stava crescendo rapidamente: la popolazione nel corso dell’Ottocento era quasi raddoppiata, passando dagli 11 milioni a circa 19. Le ultime colonie americane (Cuba, Portorico) ed asiatiche (le Filippine) alla fine dell’Ottocento erano ormai passate agli Stati Uniti e le restavano soltanto alcuni territori sulla costa africana.
Alfonso XIII era riuscito a risparmiare al paese gli orrori della prima guerra mondiale, ma nel dopoguerra la crisi generale europea finì per coinvolgere anche la Spagna, con il suo tessuto sociale ingessato e lo scarso dinamismo della sua economia.
All’immobilismo della società tradizionale faceva però da contrappeso la vitalità della cultura spagnola, che sul fondamento delle tradizioni stava producendo alcune delle più geniali espressioni del secolo in molti campi, dalla poesia alla pittura all’architettura.

Nascita della Seconda Repubblica
La crisi del dopoguerra portò il paese ad una situazione di rottura. Le cause erano molteplici:
- il sistema parlamentare soffriva, come in Italia e in Germania, di una forte instabilità e i governi erano deboli e di breve durata, con grave discredito della classe politica e delle istituzioni parlamentari;
- lo scontro di classe nelle campagne andava aumentando di intensità e violenza, perché al potere semifeudale degli agrari i contadini contrapponevano forme organizzative e pratiche di lotta estreme, ispirate per lo più all’anarchismo;
- la Spagna aveva una struttura regionale molto pronunciata, e alcune zone coltivavano da secoli ambizioni autonomistiche, che portavano a forti tensioni nel contesto della politica del governo centrale;
- il paese stava conducendo una lunga e impegnativa guerra in Marocco, su questioni coloniali, e il ceto dei militari stava acquisendo potere e influenza sociale sempre più ampi.
Il risultato di queste tensioni laceranti, ed anche paralizzanti per l’economia e lo sviluppo sociale, fu un colpo di stato gestito dai militari che portò al potere un generale, Miguel Primo de Rivera, che rimase al potere con l’appoggio del sovrano fino al 1930. Sotto Rivera il sistema spagnolo sembrò trovare un proprio equilibrio e l’economia riprese a svilupparsi, ma la crisi del 1929 gettò il paese in una situazione sociale ed economica molto difficile. Alfonso XIII affidò allora il governo ad un’altra personalità militare, ma il crollo della dittatura militare di Rivera portò con sé anche il crollo della monarchia, essendosi il re compromesso con un regime che non aveva avuto la forza o la possibilità di tenere il paese lontano dalla crisi.
Nel 1931 le Cortes spagnole proclamarono la repubblica, fortemente influenzate dalla volontà di garantire una normale ripresa delle istituzioni parlamentari, abbandonata la dittatura militare.

I governi della Repubblica dei primi anni Trenta
La costituzione del 1931 approvata dalle Cortes si ispirava ai principi liberali, ma tra il 1931 e il 1933 ebbero la maggioranza i repubblicani e i socialisti, che puntavano a dare al paese istituzioni democratiche. Nel corso di questo biennio, in cui il paese fu guidato dal socialista Manuel Azaña, si acuirono moltissimo i contrasti con l’estrema destra militarista e nazionalista, appoggiata dalle forze clericali e dalla Chiesa. Azaña provò a dare al paese una riforma agraria, sulla quale l’opposizione delle destre fu radicale, e a introdurre riforme di fondo, come la separazione tra Stato e Chiesa o la concessione dell’autonomia alle regioni in cui il separatismo era forte (la Catalogna e i Pesi Bassi).
Alle elezioni del 1933 le destre ebbero la maggioranza e tentarono di smantellare le riforme progressiste introdotte nel biennio precedente. La tensione nel paese divenne altissima: scioperi importanti (ad esempio nella regione mineraria delle Asturie) sfociarono in aperte rivolte e il conflitto politico si radicalizzò. Il paese si divise nettamente in due: da una parte le destre, appoggiate dalla Chiesa e dai militari e ispirate al fascismo che in Europa si andava consolidando (era il periodo in cui Mussolini era all’apice del suo potere e Hitler era appena diventato Capo dello Stato); dall’altra le sinistre, un arcipelago di forze sociali e politiche (socialiste, comuniste, anarchiche, e così via) che nel 1936 si unirono in un movimento elettorale unitario che si chiamò Fronte Popolare, in radicale opposizione al Fronte Nazionale delle destre.

La guerra civile del 1936-‘39
Le elezioni del 1936 furono vinte dal Fronte Popolare delle sinistre (267 seggi contro 132) nelle cui file erano anche gli anarchici, molto numerosi nel paese, che acconsentirono a partecipare alle elezioni. Le destre però non accettarono il risultato elettorale e scatenarono la guerra civile con un pronunciamiento militare. Tra i generali ebbe presto il potere il “generalissimo” Francisco Franco, di dichiarate tendenze fasciste, ma fortemente legato agli ambienti clericali tradizionalisti, che al momento dell’esplosione della guerra era in Marocco e guidò i suoi uomini in Spagna.
Fu una guerra terribile: non fu risparmiata nessuna ferocia da entrambe le parti, e il ricordo di questi eventi ha pesato per decenni nella società e nella cultura della Spagna. Fu una guerra dalle forti componenti internazionali perché i Franchisti poterono contare sul determinante appoggio dell’Italia fascista e della Germania nazista, mentre volontari da tutta Europa accorrevano nelle file della sinistra. Francia e Inghilterra, con la paralisi tipica di questi anni, nel timore di favorire una rivoluzione comunista o anarchica mantennero una rigorosa neutralità, e questo fece il gioco delle destre.
Così gli anni Trenta in Europa furono fortemente segnati dalla guerra civile spagnola, che divise governi e coscienze. L’Italia partecipò dalle due parti perché a fronte degli aiuti del governo di Mussolini alle destre vi fu la partecipazione di molti esuli volontari nelle file della sinistra (gli stranieri erano organizzati nelle Brigate Internazionali). Il Fronte Popolare spagnolo però era profondamente diviso perché i comunisti non condividevano i progetti degli anarchici; la stessa Unione Sovietica che appoggiava in forze il Fronte puntava al contenimento degli anarchici e si giunse a lotte interne alla sinistra nel contesto della guerra civile.

Il Franchismo
La vittoria finale di Francisco Franco nel 1939, divenuto il caudillo (termine equivalente all’italiano Duce e al tedesco Fürer), portò in Spagna all’instaurarsi di un sistema politico ispirato al Fascismo e profondamente condizionato dalla Chiesa. Franco raccolse nelle sue mani tutti i poteri sul modello di quanto era accaduto in Italia e in Germania e il paese conobbe diversi decenni di stabilità, ma anche di chiusura alle correnti del mondo contemporaneo e di dittatura.
La guerra aveva provocato ferite tremende (centinaia di migliaia i morti, innumerevoli gli episodi di violenza contro inermi), poi la repressione franchista che seguì la vittoria portò a molte vittime. L’Europa accolse l’esito finale della guerra con il riconoscimento del regime di Franco negli stessi mesi in cui scoppiava la guerra mondiale, cui la Spagna restò estranea, impegnata com’era nella ricostruzione, pur aiutando attivamente le potenze nazi-fasciste.
Il Franchismo non si caratterizzò per una politica estera aggressiva, ma per la volontà di mantenere in Spagna un forte potere clericale e tradizionalista, nel contesto di una società organizzata verticisticamente che aveva il suo cuore pulsante nella triade rappresentata dai grandi agrari, dall’esercito e dalla Chiesa. Le istituzioni vennero per il resto modellate su quelle fasciste e l’unico partito legale fu la destra franchista, la Falange, da cui il termine Falangisti per indicare i fascisti spagnoli.



3. Appeasement

La ripresa economica e militare tedesca dopo il 1933
Nei primi mesi dopo la presa del potere all’inizio del 1933, mentre costruiva le strutture del Terzo Reich che abbiamo sommariamente descritto al capitolo 0 (vedi p. 0), Hitler affrontò con estrema rapidità le questioni economiche. La Germania aveva enormi potenzialità, ma la crisi del ’29 aveva avuto conseguenze disastrose e milioni di persone avevano perso il lavoro.
I disoccupati al momento dell’ascesa al potere di Hitler erano circa 6 milioni; nel 1939, al momento dello scoppio la seconda guerra mondiale, in Germania era stata raggiunta la piena occupazione. Erano passati solo pochi anni e la ripresa economica era stata resa possibile seguendo alcuni precisi principi:
- limitazione del livello dei salari, in modo da tenere basso il costo del lavoro; in Germania non esistevano del resto più i sindacati, disciolti nei primi mesi del potere hitleriano, e il lavoro era concepito come una azione finalizzata al raggiungimento degli obiettivi di supremazia in Europa che il Nazismo si proponeva; peraltro Hitler curò che i beni essenziali fosse disponibili e a buon mercato, in modo da migliorare, e non abbassare, il tenore di vita dei Tedeschi;
- massicci investimenti pubblici, che stimolarono moltissimo l’economia (ad esempio l’avvio di opere pubbliche, quali le prime autostrade) così come stava accadendo negli stessi anni nell’America del New Deal;
- enormi investimenti nella produzione di armi e di materiali bellici: dal 1933 al 1939 si passò da un quarto a tre quarti dell’intero bilancio dello Stato investito nella Wehrmacht, l’esercito tedesco, e al momento dell’entrata in guerra il 22% del PIL tedesco era legato alla preparazione della guerra.

Il Nazismo e il sistema capitalistico in Germania
Il problema della disoccupazione fu quindi risolto puntando tutte le carte su ciò che per Hitler era l’obiettivo primario: preparare la Germania per affrontare una guerra che le avrebbe consentito di realizzare gli obiettivi razziali del Nazismo: aprire uno spazio vitale a est, difendere la razza ariana dal pericolo ebraico.
I capitalisti tedeschi – in particolare i padroni dei grandi gruppi industriali – poterono così contare su profitti consistenti e videro eliminato il pericolo socialista e la conflittualità in fabbrica (lo sciopero come ogni altra forma di lotta sindacale era un reato innanzitutto contro lo Stato, perché indeboliva lo sforzo nazionale per la potenza militare). Tuttavia il Nazismo perseguiva obiettivi propri e utilizzò l’industria e il sistema capitalistico senza mai restare succube dei suoi interessi, come invece avevano supposto gli industriali che avevano finanziato Hitler a partire dalla fine degli anni Venti.

Gli obiettivi della politica estera di Hitler nei primi anni di governo
Nella logica hitleriana l’obiettivo finale dell’azione in politica estera era l’apertura di uno spazio vitale ad est. Questi significava la guerra all’Unione Sovietica e la riduzione degli sterminati spazi russi in territorio di espansione tedesco, mentre la popolazione slava - di razza considerata inferiore, ma non “pericolosa” come quella ebraica – sarebbe stata completamente assoggettava all’elemento “ariano”.
Tappe intermedie per raggiungere questo obiettivo erano quelle che divennero le linee guida della sua politica estera fra il 1933 e il 1938:
- ottenere l’alleanza dell’Inghilterra e la neutralità delle altre potenze occidentali (abitate tutte, secondo la mappa razziale degli specialisti hitleriani, da popolazioni ariane, compresa l’Italia);
- ottenere la completa revisione del Trattato di Versailles, in senso favorevole alla Germania, in modo da avere del tutto mano libera ad est;
- unificare tutti i territori abitati da tedeschi entro i confini del Reich.
Si trattava di una politica molto chiara, lineare, esposta con ordine nel Mein Kampf. Hitler non pensava quindi ad una guerra contro l’Inghilterra perché del tutto assurda sotto il profilo razziale; quanto alla Francia, l’obiettivo era soltanto che accettasse la supremazia tedesca in Europa, e quindi il completo ribaltamento degli esiti della prima guerra mondiale.
Hitler si trovò a poter realizzare di fatto, complice la passività dei paesi occidentali e dell’Italia, i due ultimi obiettivi, come vedremo subito, entro il 1938; non poté invece realizzare il primo e quando attaccò la Polonia si trovò a dover combattere una guerra che non voleva, quella contro i paesi occidentali, di cui avrebbe dovuto avere invece l’appoggio nella sua logica razziale.

Le questioni dell’Austria e della Saar
Il primo terreno in cui le grandi potenze europee misurarono la nuova politica tedesca riguardò l’Austria. Questo paese era stato al centro di un grande impero, ma dopo la guerra mondiale era ridotto a dimensioni regionali. Hitler e il nazismo vi avevano largo seguito e la storia austriaca nel secondo dopoguerra era per molti versi parallela a quella tedesca: anch’essa aveva conosciuto una iperinflazione (poi domata per l’intervento della Società delle Nazioni), un parlamento incapace di prendere decisioni e assicurare maggioranze parlamentari stabili, una svolta autoritaria. Nel 1932 era divenuto cancelliere il cattolico Engelbert Dollfuss che aveva sciolto d’autorità i partiti e imposto una costituzione autoritaria egualmente contraria alle destre come alle sinistre. Dollfuss si ispirava al solidarismo cattolico, dandone una versione corporativa non del tutto lontana su questi temi dal modello italiano. Dolfuss non era fascista e tentava di controllare i movimenti operai molto forti nel paese con la sua politica autoritaria, e dovette subire gli attacchi violenti di entrambi i gruppi.
Nel 1934 i Nazisti austriaci lo uccisero in un attentato, ma il colpo di Stato che avrebbe consentito loro di prendere il potere e imporre l’annessione alla Germania venne fortemente osteggiato dalle grandi potenze, in primo luogo dall’Italia di Mussolini che temeva una frontiera in comune con la Germania, e fallì. L’Austria nel 1934 rimase indipendente.
Hitler ebbe invece un netto successo nella Saar, dove nello stesso anno si tenne un referendum per la definitiva sistemazione della regione, essendo passato i 15 anni previsti dal Trattato di Versailles durante i quali il bacino minerario era stato sfruttato dai Francesi. Il 95% della popolazione votò per il ritorno alla Germania. Fu questo il primo passo per la riunificazione nel Reich di tutti i territori abitati da tedeschi.
L’anno successivo, il 1935, vide due ulteriori passi di Hitler: contro i trattati di Versailles venne ripristinata la coscrizione obbligatoria, e poté così rinascere un esercito di massa, e poco dopo Hitler denunciò ogni aspetto dei Trattati del 1919 che riguardasse la smilitarizzazione della Germania.

Il Patto anti-Comintern e l’annessione dell’Austria
A mano a mano che il potenziamento dell’esercito tedesco procedeva, Hitler si muoveva con sempre maggiore decisione sul piano internazionale, benché contasse più sulla paura della guerra delle potenze europee che sulla reale possibilità tedesca di affrontarne vittoriosamente una di vaste dimensioni (troppo recente e incompleto era il riarmo).
Nel 1936 strinse con il Giappone un primo accordo in funzione antisovietica, il cosiddetto Patto anti-Comintern, essendo il Giappone interessato a colpire l’Unione Sovietica in Asia. Fece il tentativo di coinvolgere l’Inghilterra in questo accordo, ma fallì l’obiettivo. Nell’anno successivo, il 1937, fu piuttosto l’Italia di Mussolini a entrare nel Patto. Aveva inizio per il fascismo italiano un rapido processo di alleanza con la Germania hitleriana, processo peraltro avversato da molti in Italia, anche tra le file dello stesso governo e dei più stretti collaboratore del “Duce”.
Si trattava di un cambio di politica molto radicale, che finì col subordinare gli interessi italiani a quelli tedeschi, come si vide subito a proposito della questione dell’Austria, che si risolse nel marzo del 1938 con l’annessione alla Germania. Questa volta i nazisti non ebbero problemi: un loro uomo, l’austriaco Arthur Seyss-Inquart con l’appoggio di Hitler divenne prima Ministro dell’Interno, poi Cancelliere. La sequenza fu rapidissima:
- il 12 Marzo l’esercito tedesco occupò il paese senza incontrare resistenza;
- il 13 il Cancelliere impose una legge costituzionale che annetteva il paese alla Germania;
- il 14 Hitler fece il suo ingresso trionfale a Vienna, mentre le SS rastrellavano nel paese gli ebrei e gli oppositori.
Si trattò di una occupazione militare, che ebbe l’entusiastico appoggio solo dei nazisti austriaci. Le grandi potenze, Italia compresa, accettarono il fatto compiuto. Non si ebbe alcuna reazione significativa.

La questione dei Sudeti e l’occupazione militare della Cecoslovacchia
La regione dei Sudetri in Cecoslovacchia era abitata in prevalenza da Tedeschi e Hitler, risolta con l’annessione la questione austriaca, rivendicò subito come tedeschi quei territori imponendone la cessione alla Germania. La questione si trascinò per alcuni mesi e sembrò che si potesse giungere alla guerra di fronte all’estrema determinazione con cui Hitler stava procedendo.
Nel Settembre del 1938, e cioè solo sei mesi dopo la riunificazione dell’Austria, si giunse così alla Conferenza di Monaco convocata per affrontare la questione dei Sudati senza la partecipazione della Cecoslovacchia. Si incontrarono Mussolini, che aveva assunto un ruolo di mediazione, Hitler, il primo ministro inglese Chamberlain e il francese Daladier. Hitler ebbe il via libera alla annessione della regione dei Sudeti, senza che il governo cecoslovacco potesse interferire. La regione, tra l’altro, oltre che da quasi tre milioni di Tedeschi era abitata da un milione di Cechi.
La ragione per cui i paesi occidentali cedettero alla volontà hitleriana era la salvaguardia della pace; e in effetti tornati in patria i capi dei governi che avevano ceduto ad Hitler ricevettero un’accoglienza ottima. Nessuno di loro aveva preso sul serio il programma politico di Hitler, tutti ritenevano che una politica di limitate concessioni (per le quali si usò il termine inglese appeasement) potesse essere sufficiente a stabilire un nuovo equilibrio in Europa, più favorevole alla Gemania ma non tale da costituire una distruzione dell’impianto delle Paci di Parigi del 1918. Chamberlain ed altri erano in fondo convinti che Hitler fosse soltanto un nazionalista coerente e puntasse solo alla riunificazione nel Reich di tutti i Tedeschi.
Sei mesi dopo questi eventi la Germania occupò le regioni cecoslovacche della Boemia e della Moravia, istituendo su di esse un protettorato tedesco. La politica di appeasement era palesemente fallita e la logica della guerra cominciava a dominare i rapporti tra le potenze. Il 1939 fu l’anno chiave, con una serie di mosse diplomatiche a volte inaspettate e sorprendenti il cui esito finale, come vedremo nel prossimo capitolo, fu lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.


4. Vittorio Emanuele III, Imperatore d’Etiopia

Mussolini e la politica estera negli anni Trenta
Nel corso degli anni Venti e dei primi anni Trenta la politica estera del Fascismo era stata in linea con gli equilibri raggiunti nel dopoguerra. A partire dal 1932, però, Mussolini portò l’Italia verso una politica coloniale nuovamente aggressiva verso l’Etiopia, nella zona dove alla fine dell’Ottocento erano state ritagliate (con molte difficoltà) le colonie dell’Eritrea e della Somalia. L’impegno fascista aveva soprattutto motivazioni di prestigio internazionale: l’obiettivo era trasformare l’Italia in potenza coloniale, in “impero”, e questa volta l’avventura coloniale ebbe il consenso degli Italiani.
Questa politica estera aggressiva era del tutto coerente con l’avvicinamento alla Germania hitleriana e con l’appoggio ai Francisti in Spagna, ma portava con sé due conseguenze:
- la presa di distanza dalla Francia e dall’Inghilterra, due potenze che non potevano accettare mire imperialistiche italiane che avrebbero inevitabilmente danneggiato i loro interessi, ma che non erano affatto ostili al governo di Mussolini, che per anni aveva goduto di prestigio in questi paesi (che tuttavia restavano molto lontani dal fascismo, benché avessero anch’essi movimenti simili, ma non si massa);
- la necessità di accogliere benevolmente alcuni aspetti della politica hitleriana che in realtà contrastavano con gli interessi italiani: lo si vede con chiarezza osservando la differenza fra il primo e il secondo tentativo hitleriano di annettere l’Austria (la seconda volta Hitler non ebbe alcun problema con l’Italia, che la prima volta aveva schierato le truppe al confine).

Badoglio e Graziani ad Addis Abeba
Nel 1935 l’attacco all’Etiopia fu effettuato senza alcuna dichiarazione di guerra, ma dopo accurata preparazione. Le truppe italiane al comando dei generali Badoglio e Graziani attaccarono con l’obiettivo di sottomettere l’intero paese e riuscirono nell’intento in pochi mesi, grazie alla rilevante superiorità di mezzi. Tra questi mezzi vanno ricordati i gas asfissianti, la copertura aerea e così via. Fu una guerra condotta con estrema determinazione, che ebbe momenti di efferatezza. La guerriglia etiopica che continuò dopo la fine della guerra venne schiacciata con estrema durezza.
Nel 1936 Mussolini fece proclamare Vittorio Emanuele III imperatore d’Etiopia, e il regime toccò il massimo della sua popolarità. L’azione venne presentata come la ripresa di una volontà imperiale che doveva far tornare in auge i fasti dell’antica Roma, nel contesto di una amplissima retorica che aveva l’obiettivo (riuscito) di ottenere consenso.
Questi eventi però posero l’Italia in diretto contrasto con la Francia e con l’Inghilterra, e furono un preludio alle alleanze che avrebbero dominato la seconda guerra mondiale.



5. Leggi razziali e antisemitismo in Europa

Il nazionalismo tedesco e il razzismo
Le immagini dell’epoca sono molto eloquenti nel mostrare folle di persone comuni salutare entusiasticamente gli ingressi dei militari tedeschi nei paesi occupati da Hitler fino al 1938. Certo, il Nazismo curava moltissimo le scenografie e nulla come le parate militari, gli ingressi di Hitler in una città appena annessa al Reich come Vienna, potevano mostrare al mondo e ai Tedeschi i successi della politica hitleriana suscitando nei Tedeschi riflessi nazionalisti positivi e intimidendo gli altri paesi.
Non vi è però dubbio sul fatto che Hitler ebbe davvero un grande consenso quando toccò il tasto del nazionalismo, molto di meno quando toccò il tasto della guerra condotta per ragioni razziali, che molti tedeschi non condividevano o non capivano, nonostante l’intensa propaganda nazista. Hitler era identificato come un coerente nazionalista dagli altri capi di governo, e così da moltissimi Tedeschi ovunque abitassero. Dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale e le due gravissime crisi economiche dell’immediato dopoguerra e del 1929, la sua politica appariva forte e vincente nel rivendicare qualcosa che tutti in fondo potevano comprendere, condividessero o meno: il ruolo nazionale tedesco in Europa.
Quanto al razzismo, soltanto il corpo delle SS poteva essere considerato del tutto affidabile dal punto di vista ideologico. La Wehrmacht, l’esercito nazionale tedesco, lo era molto meno, non nel senso che non era allineato al suo capo, ma nel senso che serviva la Germania e il Reich prima del Nazismo. L’obbedienza era una virtù militare essenziale: la forza delle armi, non la politica, spettava all’esercito.

Antisemitismo
Ovunque le armate hitleriane siano giunte fino al 1938-’39, poterono sempre contare su appoggi di gruppi nazisti locali. Ora, del Nazismo una componente essenziale era non soltanto il generico razzismo, ma lo specifico antisemitismo. La storia europea era intrisa di odio antisemita da tempi immemorabili e i pogrom contro gli ebrei erano tutt’altro che un’invenzione hitleriana. Le SS per i loro rastrellamenti, come Hitler per le sue mosse politiche, potevano quindi contare su un ampio consenso quando colpivano gli Ebrei soprattutto in vastissime zone dell’est europeo.
In Germania la legislazione antisemita datava al 1935, quando erano state emanate le Leggi di Norimberga, che proibivano i matrimoni misti tra Ebrei ed “Ariani” e riducevano fortemente la libertà d’azione e di lavoro degli Ebrei tedeschi. La vita per moltissimi di loro divenne impossibile in Germania e chi poté finì per emigrare. Norme analoghe vennero applicate in Austria e ovunque fossero arrivate le armi tedesche.

Le leggi razziali in Italia
L’Italia presentava una situazione particolare. Il Fascismo italiano non era mai stato né razzista né antisemita, né queste tendenze erano diffuse nel paese indipendentemente dal Fascismo.
Tuttavia la politica seguita da Mussolini a partire dal 1937, cioè dal momento del comune appoggio ai Franchisti nella guerra civile spagnola, fu di progressiva subordinazione del paese all’alleanza con la Germania hitleriana. Si trattò di una decisione personale di Mussolini, convinto almeno fino al 1938 (cioè fino alla Conferenza di Monaco) che questa posizione gli avrebbe consentito un ruolo internazionale di mediazione. Fu questa politica – contrastata anche dallo stesso Ministro degli Esteri italiano e genero di Mussolini, Galeazzo Ciano – a portare ad uno dei episodi che più segnarono quest’epoca: la promulgazione da parte del Fascismo delle cosiddette leggi razziali, con cui l’Italia si allineava alla Germania sulla questione dell’antisemitismo. Studenti ed insegnanti ebrei vennero espulsi dalla scuola pubblica; gli Ebrei non poterono più ricoprire cariche pubbliche e furono proibiti i matrimoni misti.
Si trattò di un evento destinato a pesare molto nella coscienza civile del paese, e molti italiani si muoveranno a difesa degli ebrei.