quarta di copertina da "I Simpson e la filosofia"

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venerdì 10 agosto 2007

LA SECONDA GUERRA MONDIALE esposizione

La Seconda guerra mondiale


1. Polonia, 1° Settembre 1939

Da ovest e da est, Tedeschi e Russi alla frontiera polacca
Il 1° Settembre del 1939 la Germania di Hitler invase la Polonia entrando nel paese dalla frontiera occidentale, senza alcuna dichiarazione di guerra. Quasi contemporaneamente l’Unione Sovietica di Stalin penetrava in territorio polacco da est. La Francia e l’Inghilterra a questo punto abbandonarono la, con tutta evidenza fallita, politica di appeasement finora seguita e dichiararono guerra alla Germania. Era l’inizio della seconda guerra mondiale.
L’attacco alla Polonia da parte della Germania e dell’Unione Sovietica era stato concordato in un patto segreto siglato qualche giorno prima, il 23 Agosto del ’39. Più esattamente, si trattava delle clausole segrete del cosiddetto Patto Molotov-Ribbentrop dal nome dei due ministri russo e tedesco che lo avevano firmato. La notizia del patto (non delle clausole che rimasero effettivamente segrete) sbalordì sia l’opinione pubblica europea che i governi, perché i due paesi erano governati da regimi nemici (il Nazismo e il Comunismo) ed era ben nota la teoria militare e razziale di Hitler sullo spazio vitale, cioè sulla necessità per il popolo tedesco (o meglio per la razza ariana) di espandersi ad est a spese dell’URSS.
Il Patto Molotov-Ribbentrop nasceva in effetti da considerazioni di opportunità: Hitler aveva bisogno di tempo per completare l’unificazione delle terre abitate (anche) da tedeschi con l’occupazione della Polonia e, in caso di attacco anglo-francese, doveva evitare di impegnare il proprio esercito su due fronti; aveva quindi necessità di tenere per il momento fuori l’URSS dalla guerra; Stalin da parte sua riteneva di non poter affrontare subito una guerra con la Germania (l’Armata Rossa negli ultimi anni era stata privata di molti ufficiali anche di altissimo livello per ragioni politiche) e di poter approfittare della situazione per una espansione sul Baltico, con il controllo di parti della Polonia, delle Repubbliche Baltiche e della Finlandia.
In effetti nelle settimane successive la Polonia crollò e venne divisa tra tedeschi e russi, mentre questi ultimi provvedevano a inglobare nell’URSS le Repubbliche Baltiche e ad attaccare la Finlandia.

Drôle de guerre
A causa della evidente impreparazione dell’esercito, al momento dell’attacco alla Polonia Mussolini proclamò la “non belligeranza”, formula con cui tenne per alcuni mesi l’Italia fuori dalla guerra, ma in procinto di entrarvi (come si ricorderà, i due paesi avevano firmato nel maggio del ’39 il cosiddetto “patto d’acciaio”).
L’Inghilterra e la Francia dichiararono sì guerra alla Germania subito dopo l’aggressione alla Polonia, ma a questo non seguì alcuna azione militare. Al confine con la Germania i Francesi avevano da tempio predisposto una linea fortificata di difesa considerata insuperabile, la cosiddetta linea Maginot, e ritenevano di poter far fronte ad un attacco tedesco. Non ritennero di dover attaccare per primi, così tra il Settembre del 1939 e il Maggio del 1940 non si combatté, avendo Hitler preferito completare la preparazione militare e occupare intanto la Danimarca e la Norvegia. E’ il periodo della cosiddetta drôle de guerre.
Sistemato il fronte orientale e forte del controllo del Mare del Nord, quando Hitler ritenne la Germania pronta alla guerra con le potenze occidentali non attaccò affatto la linea Maginot, ma puntò ad una manovra di accerchiamento lanciando un attacco con i carri armati sul nord della Francia.

Il crollo della Francia
Violando la neutralità del Belgio, dell’Olanda e del Lussemburgo, occupò il loro territorio e puntò sulla costa dell’Atlantico, in modo da bloccare le linee di comunicazione tra Francia e Inghilterra via mare e chiudere in una morsa Parigi.
La manovra, realizzata in pochissime settimane tra Aprile e Giugno data la velocità e la potenza delle truppe dotate di mezzi corazzati, ebbe pieno successo. L’unica possibilità che rimase agli anglo-francesi fu il trasferimento in Inghilterra di centinaia di migliaia di soldati inglesi e francesi, salvando così forze che sarebbero state impiegate in tempi successivi, operazione che fu condotta con successo in tempi rapidissimi (10 giorni) a Dunkerque.
Il 14 Giugno l’esercito tedesco entrava a Parigi. Sul fronte occidentale la guerra sembrava fosse già finita con la completa vittoria hitleriana e la totale disfatta francese. Nella dissoluzione del sistema politico francese, il maresciallo Pétain assunse il potere e il 22 Giugno firmò l’armistizio. La Francia era nel frattempo stata attaccata sulle Alpi occidentali anche dall’Italia perché Mussolini, convinto che la guerra fosse già stata vinta dai tedeschi voleva ottenere per l’Italia una posizione da vincitrice nel futuro ordine europeo. L’attacco fallì, ma la Francia era di fatto già crollata e venne riorganizzata in questo modo (e tale rimase fino al 1944):
- tutto il nord e parte del centro del paese, compresa Parigi, venne posto sotto diretta amministrazione tedesca (Hitler poté quindi contare sulle risorse dell’industria francese);
- la Francia centro-meridionale rimase formalmente indipendente, sotto il governo collaborazionista di Pétain, con sede a Vichy, ma di fatto venne sempre controllata dai tedeschi.

La battaglia d’Inghilterra
La guerra però non era affatto finita sul fronte occidentale perché l’Inghilterra non era stata sconfitta e a Dunquerque aveva avuto la possibilità di salvare il proprio esercito di terra e una piccola parte di quello francese. Mentre Pétein firmava l’armistizio e iniziava la collaborazione coi tedeschi, da Londra il generale francese De Gaulle lanciò l’”appello del 18 giugno” chiamando i suoi concittadini alla lotta contro il nazismo, divenendo da questo momento in poi il punto di riferimento per la riscossa francese. Quanto all’Inghilterra, già da Maggio il governo era passato da Chamberlain, responsabile della politica di cedimenti di fronte alla Germania hitleriana, a Winston Churchill, che sarà per tutta la guerra il simbolo della volontà fermissima di non cedere di fronte al nemico.
Per la Germania hitleriana l’Inghilterra era un problema molto diverso dalla Francia, perché non poteva essere attaccata coi carri armati e disponeva del controllo dei mari e di un’ottima aviazione. D’altra parte la guerra non sarebbe stata vinta finché gli inglesi avessero avuto la possibilità di resistere, benché Hilter considerasse assurda la loro posizione, perché riteneva che l’interesse razziale dei due popoli al dominio dell’Europa fosse comune, essendo entrambi ariani. Ma per realizzare i suoi piani non poteva che attaccare e così fece: tra l’Agosto e l’Ottobre del 1940 si combatté quella che è passata alla storia come “battaglia d’Inghilterra”, combattuta non da truppe di terra o di mare, ma dalle due aviazioni. La superiorità inglese risultò netta e fu questa la prima battaglia persa dai tedeschi nel corso della guerra. Fu una sconfitta decisiva, perché l’Inghilterra poté impegnare le truppe tedesche su molti fronti per gli anni successivi. Il previsto sbarco in Inghilterra non poté essere neppure tentato e i bombardamenti aerei sulle città tedesche, di tipo terroristico, non ebbero l’effetto di piegare il paese.
Hitler non aveva ancora vinto la guerra.



2. La guerra nei Balcani, in Medio Oriente e in Africa

La guerra “parallela” di Mussolini
La posizione dell’Italia era intanto fonte di imbarazzo, perché l’attacco contro la Francia era fallito nonostante il fatto che il paese fosse ormai al crollo. Mussolini era alleato di Hitler, ma non voleva affatto condurre una guerra nella logica dei Tedeschi e subordinata ai loro interessi. Nonostante l’evidente impreparazione militare del paese, voleva al contrario condurre una propria guerra, con obiettivi e finalità indipendenti. Decise quindi di condurre una guerra mediterranea, in linea con gli interessi della penisola. Questo però la contrappose direttamente agli inglesi esponendo il paese al confronto con la marina militare inglese.
L’Italia andò così incontro ad una serie di insuccessi, che resero ancora più imbarazzante il rapporto con Hitler perché costrinsero Mussolini a chiedere il suo aiuto in aree dove Hitler non aveva previsto di portare la guerra. Così nel settembre dello stesso 1940 l’Italia attaccò la Grecia, andando incontro ad una determinatissima resistenza, che si rivelò insuperabile. Pochi mesi dopo, nell’aprile del 1941, la Germania venne in aiuto degli italiani dopo avere schiacciato la Jugoslavia (e poco dopo la Romania) e in due settimane occupò tutta la Grecia, comprese molte isole dell’Egeo tra cui Creta.
La posizione dell’Italia diveniva quindi di sempre maggiore dipendenza dai Tedeschi, anche perché la marina militare inglese si stava dimostrando in grado di colpire il paese in modo grave: nel Novembre del 1940 la flotta italiana di stanza a Taranto era stata distrutta dagli Inglesi.

Il controllo del Canale di Suez e El Alamein
La possibilità per l’Inghilterra di condurre una lunga guerra contro i paesi dell’Asse - che controllavano ormai, direttamente o attraverso regimi collaborazionisti, quasi tutta l’Europa – passava attraverso il dominio dei mari che le consentiva i contatti con il suo immenso impero, da cui trarre uomini e risorse. Un punto decisivo era quindi il canale di Suez, la porta per il Mar Rosso e per le comunicazioni con l’India.
Il nord Africa era anche una zona di notevole interesse per l’Italia, che aveva una propria colonia in Libia. Parallelamente all’intervento nei Balcani e in Grecia, Hitler decise quindi di portare la guerra in Africa con l’obiettivo di bloccare il Canale di Suez e realizzare le condizioni per il controllo del Mediterraneo, escludendone l’Inghilterra (per le colonie francesi non c’erano più problemi, data la sconfitta francese). Nel Febbraio del 1941 l’Afrikakorps comandato dal generale Erwin Rommel venne inviato in Libia a sostegno delle truppe italiane attaccate dagli inglesi. Per due anni tra il nord Africa e il Medio-Oriente si svolse – nelle difficilissime condizioni di una guerra tra il deserto e il mare – un lungo confronto militare che vide da una parte i Tedeschi di Rommel e gli Italiani del generale Graziani, dall’altro gli Inglesi del generale Montgomery e i Francesi di De Gaulle.
Il confronto ebbe molte fasi e scontri rimasti nell’immaginario collettivo quasi come episodi epici, ma vide alla fine la sostanziale sconfitta dei nazi-fascisti: il Medio-Oriente rimase in mano anglo-francese compreso il Canale di Suez e con la battaglia di El Alamein del Giugno del 1942 in cui le truppe di Rommel furono sconfitte anche il Nord Africa cominciava ad essere saldamente nelle mani degli Alleati.



3. Attacco all’Unione Sovietica

Le ragioni dell’attacco
L’intera guerra fin qui condotta non era quella fortemente voluta e progettata da Hitler. Le conquiste realizzate erano soltanto il preludio allo scopo ultimo, l’apertura dell’immenso spazio a est su cui realizzare la prospettiva di espansione per la razza ariana. Si trattava di una operazione militare necessaria anche per il proseguimento complessivo della guerra perché in questo modo la Germania avrebbe potuto utilizzare le risorse petrolifere e minerarie dell’URSS, indispensabili per una guerra di lungo periodo. Hitler aveva infatti fallito l’obiettivo della rapida sconfitta delle potenze occidentali, anche se alcune singole campagne militari condotte con la strategia della guerra-lampo avevano avuto successo (contro la Francia, il Nord Europa, i Balcani, la Grecia). La Germania stava combattendo una guerra diversa da quella prevista, in cui la disponibilità di risorse alla lunga si sarebbe rivelata vincente, contro nemici (l’Inghilterra da una parte, la Russia dall’altra) che potevano disporre di riserve immense (l’una il sistema coloniale, l’altra la sterminata Siberia con le sue ricchezze minerarie e l’enorme disponibilità di uomini).
Era quindi indispensabile portare la guerra contro l’Unione Sovietica, un obiettivo che Hitler nel 1941 ritenne essere alla portata dell’esercito tedesco per due ragioni:
- poteva disporre delle risorse di quasi tutta l’Europa e delle tecnologie per una guerra condotta con i carri armati e il sostegno dell’aviazione contro una potenza impreparata ad un simile confronto, anche perché indebolita dagli stermini staliniani della fine degli anni Trenta (vedi p. 0);
- riteneva gli Slavi popoli di razza inferiore, incapaci di sostenere il confronto con un esercito composto e guidato da ariani.

Le linee d’attacco
Attaccando l’Unione Sovietica sul suo territorio c’erano però da risolvere due problemi: l’immensità dello spazio russo e le condizioni climatiche. Hitler puntò quindi su un attacco all’inizio dell’estate, dopo alcuni ritardi, da concludersi rapidamente con una guerra-lampo.
L’attacco si sviluppò quindi su tre direttici:
- verso nord, dove le armate hitleriane conquistarono con estrema rapidità le Repubbliche Baltiche e posero sotto assedio Leningrado (l’assedio complessivamente durerà 900 giorni e la città perderà uno dei sue due milioni di abitanti, prima di essere liberata);
- verso le regioni centrali, in direzione di Mosca, che venne quasi raggiunta;
- verso le regioni meridionali, in direzione di Kiev, che venne presa insieme con altre città industriali della regione, e i pozzi petroliferi dell’Oriente sovietico.
L’avanzata dei tedeschi fu spettacolare e apparve vincente, ma non sufficientemente rapida: al sopraggiungere dell’inverno i Tedeschi non avevano ancora raggiunto l’obiettivo principale, cioè il crollo del sistema di potere dell’Unione sovietica. Dovettero quindi affrontare difficoltà di approvvigionamento lungo linee estremamente lunghe (dell’ordine di migliaia di chilometri dalle basi europee) e subire la controffensiva russa che si concretizzo in attacchi da parte dei partigiani e nella controffensiva intorno a Mosca, dalle cui vicinanze i Tedeschi furono costretti a ritirarsi già nel Dicembre del 1941.
Insieme con le armate tedesche erano impegnate negli attacchi anche truppe di altri paesi, e tra questi anche truppe italiane, inquadrate nell’ARMIR (Armata Italiana in Russia).

La resistenza dell’Unione Sovietica
Tra la primavera e l’estate del 1942, comunque, i Tedeschi furono in grado di lanciare nuovamente l’offensiva a sud, dove ottennero notevoli successi conquistando la Crimea e i territori a est del Volga fino al Caucaso. Sembravano quindi essere in grado di stringere il cerchio intorno alle zone centrali del paese (peraltro immenso: la distanza da Mosca restava amplissima. Quella che si stava combattendo era l’esatto opposto della guerra-lampo prevista da Hitler, e questo significava due cose:
- che la resistenza di queste popolazioni “inferiori” era di gran lunga superiore a quanto le teorie razziali di Hitler avevano lasciato supporre: il paese stava sopportando sofferenze immense senza cedere, e i Tedeschi non trovavano alcuna forma di collaborazione in una popolazione che ritenevano fosse disponibile ad abbandonare lo stalinismo e il suo “terrore”; va però detto che le truppe di occupazione si comportarono in modo da tenere in schiavitù la popolazione, e da provocare quindi forme di strenua resistenza piuttosto che di collaborazione;
- che la Germania si trovava a combattere su vari fronti (tra il ’41 e il ’42 in Africa e in Russia), cosa che Hitler aveva tentato di evitare, e che divenivano decisive le risorse complessive dei due schieramenti.
Ora, i Russi all’avanzare dell’esercito hitleriano avevano fatto ogni sforzo per spostare al di là degli Urali molti macchinari industriali, e potevano quindi disporre di un sistema industriale in efficienza mentre i Tedeschi sul loro territorio avevano trovato pochissimo di cui impadronirsi (Stalin aveva detto: “Non bisogna lasciare una sola locomotiva, non un vagone, non un chilo di grano, un litro di carburante”, e il popolo russo aveva risposto al suo appello).

La battaglia di Stalingrado
La battaglia decisiva sul suolo russo si combatté lungo una cinquantina di chilometri lungo il fiume Volga, intorno alla città di Stalingrado nel sud del paese. Durò mesi, tra l’estate del 1942 e il febbraio del 1943, e fu probabilmente la più grande singola battaglia mai combattuta nella storia umana.
Nei mesi invernali la battaglia si dimostrò un grosso errore strategico da parte dei comandi Tedeschi (il ruolo personale di Hitler nel decidere le strategia militari fu in questo caso decisivo). I Russi furono in grado di alimentare in continuità il fronte con uomini e munizioni, in condizioni difficilissime per tutti: si combatté nel pieno dell’inverno russo con temperature estremamente basse, finché i Russi riuscirono quasi ad accerchiare le truppe tedesche, che rischiavano quindi di non poter più ricevere rifornimenti (cibo, armi, munizioni). Il generale von Paulus che comandava l’armata tedesca chiese ad Hitler il consenso per un ripiegamento, in modo da sganciarsi dalla morsa russa che avrebbe presto costretto i suoi uomini alla resa.
Hitler negò il consenso. Un’armata ariana non si sarebbe mai dovuta ritirare di fronte ad una popolazione inferiore. La conseguenza fu che il 2 Febbraio del 1943 von Paulus dovette capitolare. Iniziava il contrattacco degli alleati.



4. Giappone e Stati Uniti: la guerra del Pacifico

La legge Affitti e Prestiti e il Patto Atlantico
Allo scoppio della guerra gli Stati Uniti, il cui presidente era sin dai primi anni Trenta Franklin D. Roosevelt (e lo sarebbe rimasto sino all’aprile del 1945), erano intervenuti con forti sovvenzioni all’Inghilterra con la cosiddetta legge Affitti e Prestiti (Lend-Lease Act) che garantiva l’apertura di linee di crediti a quella che si profilava come la più importante potenza alleata europea.
Gli Stati Uniti, anche se non il governo, erano però contrari ad un intervento in guerra, e il presidente per quasi due anni non poté far molto di più. Poi il 14 Agosto del 1941 Churchill e Roosevelt sottoscrissero insieme un documento di fondamentale importanza non solo al fine del successivo andamento della guerra, ma della gestione della pace che ne seguì nel 1945. E’ la Carta Atlantica, in cui si dichiarava la determinazione a difendere fino alla vittoria il “mondo libero” e si enunciavano alcuni principi che avrebbero dovuto regolare il mondo una volta liberato il mondo dalla dittatura del totalitarismo nazi-fascista: autodeterminazione dei popoli e rinuncia ad acquisizioni territoriali mediante conquista militare, libertà dei mari, ripudio della guerra come normale strumento di regolazione dei rapporti tra gli Stati.

Pearl Harbor, 7 Dicembre 1941
La mattina del 7 Dicembre del 1941 le navi alla fonda nel porto statunitense di Pearl Harbur, nelle isole Hawaii, vennero attaccate e distrutte da aerei militari giapponesi. Nel breve volgere di poche ore, la flotta americana nel Pacifico era stata quasi annientata, senza alcuna dichiarazione di guerra. Nelle ore e nei giorni successivi i Giapponesi procedettero alla sistematica occupazione di tutto il sud-est asiatico, dando alla loro guerra un carattere marcatamente anti-coloniale ed anti-occidentale. Poterono per questa ragione contare, almeno nelle prime fasi della guerra, dell’appoggio di molte popolazioni locali che si lasciarono coinvolgere in un progetto di liberazione dalla dominazione coloniale, prima di essere però assoggettate ad una nuova dominazione, che si rivelò molto dura.
I Giapponesi stavano infatti conducendo una guerra imperialistica, in nome dei valori e dei popoli asiatici contro quelli occidentali, ma sottomettendo ogni interesse locale alla supremazia nipponica. Quello che rapidamente nacque (tra il Dicembre del 1941 e l’estate del 1942) fu un impero giapponese esteso dalla Birmania a tutta l’Indonesia, l’Indocina, le Filippine, fino alle ultime isole oceaniche di fronte all’Australia, che venne direttamente minacciata. A partire dalle basi birmane venne minacciata anche l’India inglese, che avrebbe corso un pericolo gravissimo di accerchiamento se i Tedeschi fossero riusciti ad aprirsi la via oltre il Causcaso e gli Urali e avessero conquistato l’Iran e l’Asia Centrale.
La reazione statunitense fu immediata: l’intero paese si unì nella preparazione della guerra e il suo apparato industriale venne posto al servizio della vittoria. Pochi giorni dopo Pearl Harbor, anche la Germania e l’Italia dichiaravano guerra agli Stati Uniti.

La guerra imperialista e anticoloniale del Giappone
L’azione militare su Pearl Harnbor colse di sorpresa (tra molte polemiche) gli Stati Uniti, ma era invece del tutto nota la volontà imperialista del Giappone, che si era già manifestata nel decennio precedente in molti modi. Nel paese dopo la crisi del 1929 avevano avuto il sopravvento i circoli nazionalisti e militaristi legati ai grandi gruppi industriali, che coltivavano il principio della superiorità giapponese sugli occidentali e miravano alla creazione di un impero giapponese in Asia, innanzitutto sottomettendo la Cina e le regioni limitrofe, poi il Pacifico. Così la guerra che il Giappone scatenò con l’attacco a Pearl Harbor ebbe due caratteri:
- fu una guerra imperialista, condotta con grande energia ed estrema determinazione da un paese che poteva contare sulla piena adesione dei combattenti agli ideali di riscatto internazionale che la guerra implicava, una adesione fondata sul nazionalismo elevato a norma di vita (sicché il soldato giapponese combatté fino all’ultimo senza alcuna remora a correre rischi estremi, fino alla scelta finale, che vedremo a p. 0, dei kamikaze);
- fu una guerra anti-occidentale ed anti-colonialista, che mirava a “liberare” l’Asia e il Pacifico dalla presenza degli Europei e degli Americani.
Se sotto il primo aspetto non poteva essere accettata dalle popolazioni che subirono l’imperialismo giapponese (che si dimostrò spietato, pur se non ai livelli raggiunti dal Nazismo), sotto il secondo aspetto poteva invece costituire (e costituì di fatto, almeno in alcuni periodi e in alcune zone) un forte richiamo alla lotta comune contro gli Occidentali.
Al momento dell’entrata in guerra il capo del governo era il generale Tojo Hideki, che guiderà il paese fino alle dure sconfitte del ’44.

La guerra del Giappone e l’impegno statunitense
Nel settembre del 1940 il Giappone aveva firmato con la Germania e l’Italia il cosiddetto Patto tripartito, un’alleanza politico-militare che durò tutta la guerra. Tuttavia la guerra che il Giappone condusse in Asia non venne legata a quella che si svolgeva in Europa: nel momento in cui l’Unione Sovietica subiva la tremenda pressione delle armate naziste e rischiava il collasso interno, il Giappone scelte di approfittarne per attaccare le colonie occidentali a sud e realizzare così un proprio impero, piuttosto che attaccare l’Unione Sovietica nei territori russi a nord della Cina contribuendo così alla sua caduta. Tra l’Unione Sovietica e il Giappone non vi sarà guerra se non nelle ultime fasi del conflitto del 1945.
Questa situazione ha fatto sì che la seconda guerra mondiale sia stata tale perché combattuta su una molteplicità di fronti in tutto il pianeta, ma non nel senso che si sia trattato di una guerra unitaria e integrata. La guerra del pacifico seguì una propria logica diversa da quella in Africa e in Europa, anche se gli americani combatterono in tutti i fronti.
L’impegno statunitense fu enorme. Il paese impiegò alcuni mesi per la preparazione bellica, con una mobilitazione di massa e con la creazione di un’economia di guerra che consentì la produzione di immense quantità di aerei, navi, materiali bellici d’ogni tipo (vedi lo schema n. 0). Gli Stati Uniti agirono come una potenza planetaria: combatterono nel Pacifico contro il Giappone, insieme con alcuni alleati (canadesi, australiani, e così via); si impegnarono a fondo nella guerra in Europa insieme agli anglo-francesi, determinando così la loro futura posizione di superpotenza.

Midway, Guadalcanal, Marianne
La zona in cui l’impegno fu maggiore, almeno nei primi anni di guerra, fu il Pacifico dove l’avanzata dei Giapponesi venne contenuta sin dall’estate del 1942. Il primo obiettivo era impedire che cadesse l’Australia, e in effetti i piani di attacco a questo continente vennero abbandonati dal governo nipponico dopo che gli Stati Uniti furono in grado di dispiegare un amplissimo dispositivo militare a sua difesa che portò nel Giungo del 1942 alla battaglia navale delle isole Midway.
La guerra nel Pacifico fu condotta essenzialmente da mezzi navali, comprese le portaerei che ebbero un ruolo determinante, e da mezzi aerei. Fu quindi una guerra in cui insieme alla determinazione dei soldati (su questo i Giapponesi avevano dimostrato di essere fortissimi) contava la capacità di inviare sulle prime linee quantità enormi di materiale bellico, e innanzitutto di navi e aerei. Gli Stati Uniti avevano una capacità industriale molto più alta di quella giapponese e questo alla lunga fece la differenza, nonostante i Giapponesi di fendessero accanitamente ogni posizione da loro acquisita.
Si combatté isola per isola, anno dopo anno, con una continua avanzata americana e una strenua resistenza giapponese. Tra l’estate del 1942 e i primi mesi del 1943, negli stessi mesi in cui in Europa i Tedeschi subivano la durissima sconfitta di Stalingrado da parte dei Russi, nel Pacifico i Giapponesi venivano sconfitti dagli americani nella battaglia per il controllo dell’isola di Guadalcanal nell’arcipelago delle Salomone, che il generale Mc Arthur considerava fondamentale come base di operazione per le conquiste future.
Alla fine del 1943 le forze navali dell’ammiraglio Nimitz attaccarono le isole Marianne, nel Pacifico centrale, e mese dopo mese avanzarono occupando isola dopo isola.



5. Attacco all’Italia

La situazione in Africa e lo sbarco in Sicilia
Dopo la battaglia di El Alamein, che si combatté nei primi giorni di Novembre del 1942, gli Alleati completarono l’occupazione dell’Africa del Nord. Gli Americani, al comando del generale Dwight D. Eisenhower, sbarcarono pochi giorni dopo in Marocco e in Tunisia. I Tedeschi e gli Italiani non riuscirono a contenerne l’avanzata e nel Gennaio del 1943 abbandonarono la Libia (Rommell fu trasferito nell’Italia del Nord e poi in Francia, dove si temeva uno sbarco alleato che, come vedremo, avvenne nel 1944) e nel Maggio anche la Tunisia.
Per gli alleati si trattava adesso di attaccare direttamente l’Europa. Mentre l’aviazione bombardava le principali città italiane, con l’intento non solo di distruggere le istallazioni militari, ma di fiaccare il morale della popolazione e indurre alla capitolazione, gli Alleati sbarcarono prima a Pantelleria, poi in Sicilia.
Le forze che occuparono l’isola erano inglesi, americane e canadesi. Sbarcarono a sud-est, e trovarono scarsa resistenza, e quasi soltanto da parte delle truppe tedesche presenti, che le impegnarono nella Pioana di Catania prima di ripiegare ordinatamente al di là dello Stretto. Tutto avvenne in poche settimane tra i primi di Luglio del 1943 e la metà di Agosto. La popolazione siciliana, che non era mai stata fortemente legata al Fascismo (altre regioni lo erano state), accolse favorevolmente le truppe alleate: la propaganda dei vincitori parlò di “liberazione”, e in effetti molti vissero in questo modo quanto avvenne. Tra i “liberatori” c’erano molti siciliani che erano emigrati in Americani (e molte persone legate alla mafia, di cui gli Americani si servirono reintroducendola nell’isola).
A questa data però il Fascismo - che intorno al ’36, al tempo della proclamazione di Vittorio Emanuele III come Imperatore d’Etiopia, godeva di un largo consenso - non poteva più contare in Italia sull’appoggio delle masse: i bombardamenti che distruggevano le città, l’evidente impreparazione dell’esercito, la situazione drammatica in cui il regime aveva portato il paese aveva già prodotto nella primavera precedente i primi scioperi nelle zone industriali del nord che, pur scoppiati per ragioni “sindacali”, avevano un chiaro significato contrario al regime.

La seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 25 Luglio 1943
Il Gran Consiglio del Fascismo era uno degli organi che il regime aveva creato sin dagli anni Venti. Ne facevano parti le più alte personalità del Partito e dello Stato. Si riunì a Roma nella notte tra il 24 e il 25 Luglio, in una condizione di grandissima incertezza per le sorti del paese, ormai parzialmente occupato e in una situazione senza sbocco.
Prese l’iniziativa Dino Grandi, che era stato un collaboratore di Mussolini sin dalla prim’ora, con la presentazione di un Ordine del Giorno in cui veniva proposto il ripristino dello Statuto Albertino e il reintegro del re nelle sue prerogative costituzionali. L’Ordine del Giorno Grandi venne approvato a larga maggioranza. Tra coloro che lo appoggiarono vi fu anche Galeazzo Ciano, Ministro degli Esteri e genero di Mussolini.
La mattina successiva Mussolini venne ricevuto da Vittorio Emanuele III, che lo destituì dall’incarico di capo del governo e lo fece arrestare. Nominò poi al suo posto il maresciallo Badoglio.
Il Fascismo era caduto. La reazione popolare fu di travolgente entusiasmo, nella convinzione che la guerra fosse finita. Iniziava invece uno dei periodi più difficili della storia d’Italia.

8 Settembre 1943
Il re aveva preso la decisione di eliminare dalla scena politica Mussolini sotto l’incalzare della situazione militare. Il suo obiettivo era garantire la continuità dell’istituto monarchico e liberarsi quindi dalla tutela fascista di fronte all’avanzare degli Alleati, ma non aveva alcuna intenzione di modificare l’assetto autoritario dello Stato.
Badoglio quindi mantenne in piedi l’apparato amministrativo e militare dello Stato, sia pure con una netta presa di distanza dal Fascismo, mentre le strutture del Partito crollarono. Ogni manifestazione di reale opposizione venne repressa con la forza, e si ebbero molti morti e feriti. I partiti dell’era prefascista ed altri nuovi che stavano tentando di darsi una prima organizzazione non ebbero spazio reale d’azione (in ogni caso non avevano avuto nessun ruolo nella caduta del Fascismo).
Badoglio, mentre cercava già la via di trattare con gli Anglo-Americani, dichiarò “la guerra continua” perché temeva moltissimo la reazione tedesca alla caduta di Mussolini. Hitler, non fidandosi affatto, nelle settimane successive fece affluire in Italia numerosi reparti tedeschi, pronti all’occupazione del paese se ci si fosse trovati in situazioni critiche.
L’8 settembre del 1943 il paese venne occupato dai tedeschi: gli Americani poche ore prima avevano rivelato che il giorno 3 l’Italia aveva sottoscritto l’armistizio in un paese della Sicilia orientale, Cassibile. L’esercito italiano venne lasciato senza alcuna direttiva operativa. Nonostante la superiorità delle forze italiane, lo sbandamento fu tale che i tedeschi non ebbero alcuna difficoltà a occupare l’intera penisola, a parte la Sicilia occupata dagli Alleati. Un numero enorme di soldati di italiani trovarono la morte per mano tedesca (alcuni eccidi gravissimi avvennero in Grecia: ne parleremo a p. 0) o vennero deportati in Germania.

9-12 Settembre 1943
La mattina del 9 Settembre il re e il governo fuggirono da Roma senza prendere alcuna misura per la sua difesa, rifugiandosi prima a Pescara, poi a Brindisi dove intanto erano sbarcati gli Alleati, ponendosi così sotto la loro protezione. I Tedeschi immediatamente occuparono Roma. Trovarono non solo una ferma reazione spontanea da parte di alcuni reparti italiani (non c’era alcun piano del governo a difesa di Roma né ordini per l’esercito) ma anche l’ostilità durissima della popolazione. Ogni resistenza venne travolta. Fu questo il primo episodio di vasto respiro in cui la resistenza italiana contro il nazismo si manifestò in modo palese; e fu resistenza spontanea e popolare, nella completa assenza del governo e della monarchia.
Ma l’animo di tutti era diviso, e la situazione estremamente confusa: l’Italia era adesso occupata da un esercito di cui fino al giorno prima era alleata, e il governo era sotto la protezione di un altro esercito che fino al giorno prima era nemico. Non furono pochi che, nel crollo del Fascismo, non accettarono questo stato di cose e si avvicinarono ai tedeschi collaborando.
Il 12 Settembre i Tedeschi liberarono Mussolini che era stato portato a Campo Imperatore, sul Gran Sasso. Nei giorni successivi si ricostituì un governo fascista, che ebbe sede a Salò, sul Lago di Garda; nacque così la cosiddetta Repubblica di Salò, sotto stretto controllo tedesco. I Fascisti ricostituirono un esercito che operò con i nazisti e da quel momento in poi la guerra in Italia non solo continuò, ma assunse due volti diversi:
- fu una guerra combattuta da italiani presenti sui due fronti: il Regno d’Italia appoggiò gli Alleati (con un rovesciamento delle alleanze: nell’Ottobre del 1943 il governo di Badoglio aveva dichiarato guerra alla Germania), mentre la Repubblica di Salò appoggiò i Tedeschi, fedele alla continuità col Fascismo (e a quello che si disse l’”onore” dell’Italia);
- fu una guerra civile, perché contrappose italiani contro italiani.

La guerra in Italia tra il ’43 e il ‘45
Al periodo tra il Settembre del 1943 e l’Aprile del 1945 dedicheremo un’attenzione particolare nel capitolo 0, perché fu in quell’anno e mezzo che si formarono le premesse per la successiva storia (repubblicana e non più monarchica) d’Italia e avvennero fatti che ancora oggi sono al centro di dibattiti sia storiografici che politici.
Qui basti dire che nello stesso Settembre del 1943 gli Alleati sbarcarono nel Golfo di Salerno, mentre Napoli insorgeva contro i nazi-fascisti liberandosi prima dell’arrivo degli Americani. Il fronte rimase fermo per mesi a sud di Roma, e i combattimenti si concentrarono nella zona di Cassino (e l’antico monastero di Montecassino venne distrutto dall’aviazione americana).
La liberazione di Roma, dopo uno sbarco ad Anzio che non diede i risultati sperati, avvenne il 4 Giugno del ’44, ma la guerra continuò nel nord lungo quella che i tedeschi chiamarono “linea Gotica” (vedi cartina n. 0), lungo l’Appennino Tosco-Emiliano, fino alla primavera del 1945, e vide nelle zone occupate dai tedeschi la forte presenza di un esercito di liberazione che mise in atto una “guerra partigiana”.
La guerra in Italia ebbe poi termine intorno al 25 Aprile del 1945. Mussolini, mentre cercava di fuggire in Germania, venne arrestato dai partigiani e fucilato.
Vedremo meglio tutto questo più avanti. Dobbiamo però proseguire descrivendo la guerra in Europa, che si svolgeva mentre il fronte italiano era quasi fermo sull’Appennino.



6. Operazione Overlord

Le Conferenze di Casablanca e di Teheran
I rapporti tra gli Alleati non erano facili, perché avevano sì in comune l’assoluta ostilità al Nazismo, ma erano divisi su molti punti, ed in particolare sulla futura sistemazione dell’Europa, una volta intravista all’inizio del 1943 la concreta possibilità della vittoria finale. I comunisti sovietici e Stalin non potevano non guardare con diffidenza l’alleanza con le più forti potenze capitaliste dell’Occidente industrializzato, e queste non potevano accettare facilmente che il comunismo si espandesse in Europa come conseguenza della vittoria su Hitler.
Ma nel 1943 l’impegno militare era ancora molto forte, e la guerra tutt’altro che vinta. Si parlava di nuove armi, e non era da escludere che le ricerche degli scienziati nazisti portassero a risultati decisivi (saranno invece gli americani ad ottenerli nel 1945 con la costruzione della bomba atomica). Così l’accordo fu trovato in due conferenze.
La prima si tenne a Casablanca, in Marocco, all’inizio del 1943 alla presenza di Churchill e Roosevelt, mentre Stalin non poté partecipare di persona perché il suo paese era ancor impegnato nella battaglia di Stalingrado e la sua presenza in patria era indispensabile. Si decise la guerra ad oltranza contro Hitler escludendo ogni ipotesi di pace separata, molto temuta da Stalin perché l’Unione Sovietica si sarebbe trovata da sola a fronteggiare le armate hitleriane.
La seconda si tenne a Teheran, in Iran, alla fine del 1943 alla presenza anche di Stalin. Si decise che gli Alleati avrebbero effettuato uno sbarco in forze in Francia entro il 1944 per liberare la Francia e attaccare poi lo stesso suolo tedesco, mentre l’esercito sovietico avrebbe contemporaneamente impegnato i Tedeschi sul fronte orientale.
Churchill insistette finché gli fu possibile perché lo sbarco avvenisse a sud, sui Balcani, in modo da ricongiungere gli eserciti anglo-americani con le truppe sovietiche, ma impedendo anche in questo modo ai comunisti di occupare da soli l’Europa dell’Est, prefigurando così un loro dominio su quest’area nel dopoguerra. Ma dovette cedere su questo punto.

Lo sbarco in Normandia e l’avanzata sovietica ad Est
Utilizzando anche il lavoro forzato di milioni di prigionieri di guerra, i Tedeschi avevano costruito in Francia una linea costiera di difesa estremamente difficile da superare (il cosiddetto “vallo atlantico”), nel tentativo di rigettare in mare gli Alleati se avessero tentato lo sbarco. Ogni difesa venne però superata perché gli anglo-americani furono in grado il 6 Giugno del 1944 di attaccare la “fortezza Europa” con un complesso di uomini e mezzi di enorme potenza, quale i Tedeschi non ritenevano possibile (vedi la tabella n. 0).
Lo sbarco (la cosiddetta “Operazione Overlord”) avvenne in Normandia e non nella zona di Calais come i Tedeschi pensavano. Già ad Agosto Parigi, che intanto era insorta, poté essere liberata e il generale De Gaulle entrò in città alla testa delle truppe francesi che avevano combattuto con gli Alleati: avevano lasciato la Francia quattro anni prima, al tempo della ritirata di Dunquerque dell’estate del 1940 di fronte ai carri armati tedeschi vittoriosi.
Nelle stesse settimane in cui gli Alleati sbarcavano in Normandia, i Sovietici attaccavano nella direzione della Polonia, avanzando di settimana in settimana. Un episodio drammatico, e destinato a segnare i rapporti tra Polonia e Unione Sovietica, avvenne a Varsavia, che alla fine di Agosto del 1944 insorse. I Tedeschi reagirono massacrando i cittadini e radendo al suolo la città, mentre reparti Sovietici erano nelle vicinanze e non intervennero (Stalin temeva il nazionalismo polacco, ed erano i nazionalisti alla guida dell’insurrezione).

I Tedeschi di fronte al profilarsi della sconfitta
Nell’estate del 1944 divenne evidente per la classe dirigente tedesca, sia politica che militare, che la guerra sarebbe stata perduta. La macchina della propaganda nazista lavorò con estrema determinazione fino alla fine tentando di tenere alto il morale dei cittadini e soprattutto delle truppe, che si batterono con estrema fermezza sino alla fine.
La propaganda parlava tra l’altro di nuove armi, e in effetti alcune novità furono introdotte alla fine della guerra: gli scienziati tedeschi misero a punto dei razzi in grado di colpire l’Inghilterra – i cosiddetti V1 e V2 – ma si trattava di strumenti di morte molto imprecisi e i danni furono limitati.
Al contrario la contraerea non riusciva più a difendere le città tedesche che vennero bombardate a tappeto, con l’intento di spargere il terrore tra la popolazione e obbligare alla resa. Si trattò di attacchi devastanti, che rasero al suolo intere città (nel Febbraio del 1945 la città di Dresta fu quasi completamente distrutta, e i morti sotto le bombe furono circa 200.000).
La volontà di Hiter e dei Nazisti era tuttavia fermissima nel resistere fino all’ultimo uomo, fino alla completa distruzione della Germania, se non si fosse riusciti a ribaltare le sorti della guerra (i comandi tedeschi sperarono ad un certo momento in una pace separata con gli Anglo-Americani e nello scoppio di una guerra tra questi ultimi e i comunisti sovietici).
Il 20 Luglio 1944, quando ormai lo sbarco in Normandia aveva avuto pieno successo, un gruppo di ufficiali dell’esercito tedesco tentarono con un attentato di uccidere Hitler. Misero una bomba che esplose vicino al Fürer, che rimase però quasi illeso. La rete cospirativa venne interamente scoperta e i congiurati tutti eliminati. Avevano agito per tentare di salvare la Germania dalla distruzione, nella convinzione che un paese non più nazista avrebbe potuto trovare un accordo con gli anglo-americani (alcuni congiurati avrebbero però voluto continuare la guerra contro i Russi).

30 Aprile 1945
Nell’Aprile del 1945 la Germania era ormai quasi interamente occupata e distrutta (alla fine della guerra circa il 70% degli edifici tedeschi era raso al suolo). Ma si combatteva ancora strada per strada nelle città. Berlino venne assalita da reparti sovietici.
Hitler passò i suoi ultimi giorni in un bunker costruito sotto la Cancelleria, a Berlino. Il 30 Aprile, mentre si sparava nelle strade intorno all’edificio e Berlino veniva occupata dai Russi, si suicidò.
Pochi giorni dopo la Germania firmava la capitolazione senza condizioni. Gli Alleati penetrati in Germania, in Polonia e altrove nei territori che erano stati controllati dai Nazisti trovarono una lunga serie di campi di concentramento e il mondo venne a conoscenza della sorte che era stata riservata agli Ebrei e a molte altri. Di questo parleremo nel capitolo successivo.



7. L’era atomica

L’estrema resistenza del Giappone
La guerra però non era ancora finita, perché si combatteva ancora nel Pacifico, per il controllo delle isole a sud del Giappone. Tra la fine del 1944 e i primi mesi del ’45 si combatté per le Filippine, e da questo momento in poi i Giapponesi impiegarono i kamikaze in un estremo tentativo di difesa: erano giovani o giovanissimi piloti che lanciavano i loro aerei contro le navi statunitensi. La combattività dei giapponesi restava altissima.
Il suolo del loro paese venne per la prima volta colpito tra Aprile e Giugno 1945 con la presa di Okinawa, l’isola più a sud dell’arcipelago. Ma la resistenza continuava.
In Giappone si stavano succedendo diversi governi (quello del generale Tojo che aveva guidato il paese per quasi tuta la guerra era caduto di fronte alle gravi sconfitte nel 1944), ma tutti guidati da nazionalisti e militaristi decisi a combattere fino all’ultimo. L’atteggiamento del paese non cambiava, come mostrano gli attacchi dei kamikaze.
Seguendo il copione già da tempo messo in atto in Europa, a partire dal Novembre 1944 cominciarono a bombardare sistematicamente le città giapponesi, con l’obiettivo di fiaccare la resistenza popolare e mostrare l’impossibilità di vittoria (e quindi l’inutilità di continuare la guerra). Ampi zone di Tokio, con bombardamenti a tappeto, furono ridotte a un cumulo di macerie e - come Europa - fu la popolazione civile a essere colpita, con oltre ottantamila morti in una sola serie di attacchi l’8 Marzo.
Ma il Giappone non si arrendeva, nonostante i bombardamenti, la costante perdita di territori, l’impossibilità per le industrie di continuare a produrre in mancanza di materie prime (la marina militare statunitense aveva completamente bloccato le importazioni), la fame ormai dominante (i Giapponesi andavano avanti con razioni giornaliere da 1.200 calorie).
Ad Agosto anche l’Unione Sovietica, su richiesta americana, entrò in guerra contro il Giappone.

Hiroshima e Nagasaki, 6/9 Agosto 1945
Ma la guerra stava ormai per finire. Gli americani - guidati da Truman, che era stato il vice-presidente di Roosevelt morto nelle ultime fasi della guerra – avevano infatti deciso di usare l’arma atomica che un gruppo di scienziati (tra cui l’italiano Fermi) avevano messo a punto appena qualche settimana prima.
Un primo ordigno fu fato esplodere su Hiroshima il 6 Agosto. Il mondo entrava così nell’era atomica. In una frazione di secondo l’80% degli edifici venne raso al suolo, una popolazione di decine di migliaia di persone venne uccisa, e molte altre decine di migliaia morirono nelle ore e nei giorni successivi. Il governo giapponese non chiese la resa e un secondo ordigno venne fatto esplodere su Nagasaki, con effetti analoghi.
In Giappone si sviluppò un drammatico confronto tra i militari che volevano resistere ad oltranza, anche fino alla completa distruzione del paese, e quanti invece volevano riconoscere la sconfitta.
La guerra si chiuse il 2 Settembre del 1945 con la resa firmata sulla Missouri, la nave ammiraglia della flotta statunitense ancorata nella baia di Tokio.