giovedì 20 settembre 2007

KANT

LA FILOSOFIA DI IMMANUEL KANT

LA DISSERTAZIONE DEL 1770
La Dissertazione De mundi sensibilis atque intellegibilis forma et principiis , discussa da Kant per la sua nomina a professore ordinario , può essere considerata insieme come l' ultimo scritto del periodo precritico e il primo della fase critica . La tradizione leibniziana presupponeva un rapporto di continuità tra la conoscenza sensibile e quella intellettuale , che venivano distinte solamente dal grado di coscienza in esse conseguito: fatta di piccole percezioni , la conoscenza sensibile é oscura e confusa ; portata a livello appercettivo , la conoscenza intellettuale è chiara e distinta , per dirla con Cartesio. In opposizione a questa tradizione Kant introduce una distinzione di genere tra le due conoscenze . Oggetto della prima sono le rappresentazioni delle cose come appaiono , mentre nella seconda ci si rivolge alle rappresentazioni delle cose come sono . La conoscenza sensibile riguarda cioè la dimensione fenomenica (dal greco phaìnomai = appaio ) delle cose, considerate non già nel loro essere in sè , ma nel loro essere modificate dalle forme della sensibilità. La conoscenza intellettuale riguarda invece le cose in sè , nella loro dimensione noumenica (noumenon = pensato , dal verbo greco noeìn = pensare ) , nel loro vero essere , coglibile esclusivamente col pensiero . Nella prima parte dell' opera , dedicata alla conoscenza sensibile , Kant perviene dunque , con piena maturità , all' idea che noi non percepiamo le cose come sono in sè , ma necessariamente le modifichiamo nel procedimento percettivo , adattandole alle forme soggettive della nostra intuizione . Queste forme percettive , che sono a priori , perchè non dipendono dall' esperienza , sono lo spazio e il tempo . Con questo Kant anticipa , quasi testualmente , il contenuto della Critica della ragion pura dedicata alla trattazione della sensibilità . Sotto questo aspetto la Dissertazione del 1770 compie pienamente , nell' ambito della sensibilità , quella nuova rivoluzione copernicana che esprime l' essenza del criticismo : la conoscenza non consiste nell' adeguazione del soggetto all' oggetto , bensì nella modificazione dell' oggetto secondo le forme a priori del soggetto . La parte della Dissertazione riservata alla sensibilità é quindi pienamente critica . Tutt' altro discorso vale invece per la seconda parte dell' opera, relativa alla conoscenza intellettuale. Qui Kant si mantiene fedele al punto di vista dogmatico e non compie alcuna rivoluzione copernicana . I concetti dell' intelletto , qui chiamati idee pure , non dipendono dalle rappresentazioni della sensibilità , escludendo ogni contagio tra cognizione sensitiva e cognizione intellettuale. Proprio in virtù di questa indipendenza del pensiero dalla sensibilità , le idee pure possono cogliere la realtà nella sua essenza noumenica , senza le alterazioni fenoumeniche comportate dalla percezione . Questa radicale contrapposizione della conoscenza ideale a quella sensibile , di forte sapore platonico, se da un lato consente a Kant di salvare la prima dalle contaminazioni fenomeniche della seconda e di sostenere la conoscibilità della realtà in sè nella sua assoluta oggettività (senza tuttavia spiegare come), dall' altro lato gli impedisce di estendere anche alla conoscenza intellettuale quell' analisi critica che aveva già realizzato sul piano della conoscenza sensibile . Questa estensione costerà a Kant undici anni di lavoro e avrà come risultato la Critica della ragion pura .










IL CRITICISMO E IL TRIBUNALE DELLA RAGIONE
Il programma metodologico già annunciato nei Sogni di un visionario , consistente nel delineare una "scienza dei limiti della ragione" , trova la sua realizzazione nella Critica della ragion pura . "La ragione umana - scrive Kant in quest' opera - in una specie delle sue conoscenze ha il destino particolare di essere tormentata da problemi che non può evitare, perchè le sono posti dalla sua stessa natura , ma dei quali non può trovare la soluzione , perchè oltrepassano ogni suo potere" . L' ambito in cui la ragione dibatte questi problemi , facendo ricorso a "princìpi che oltrepassano ogni possibile uso empirico" e incorrendo così in "oscurità e contraddizioni" , è la metafisica . Ma anche lo statuto gnoseologico delle scienze esatte - la matematica e la fisica - non è del tutto chiaro , poichè , se nel loro caso è indubitabile che siano possibili (giacchè la loro esistenza e la loro validità sono un dato di fatto) , non è perspicuo in che modo siano possibili . Occorre dunque instaurare un tribunale della ragione in cui quest' ultima , insieme giudice e imputato , determini i limiti e le possibilità della conoscenza umana . Il programma della "filosofia critica" si apre quindi con tre domande fondamentali: 1) Com'è possibile una matematica pura? 2) Com' è possibile una fisica pura? 3) Com'è possibile la metafisica come scienza? "Lo confesso francamente: l'ammonimento di David Hume fu ciò che molti anni fa , per primo mi svegliò dal sonno dogmatico". Recenti indagini critiche sul pensiero di Kant ci inducono a dubitare oggi della validità storica di questa affermazione: il passaggio di Kant al criticismo fu probabilmente determinato da influenze e mediazioni più complesse e anche più vicine al suo ambiente culturale . Ma anche se Hume non fu il primo a svegliare Kant dal sonno dogmatico , sicuramente egli costituisce un interlocutore essenziale per lui . Le obiezioni humiane alla causalità necessaria riguardavano un concetto di cui anche Kant, come abbiamo visto, sentiva la problematicità . Esse inoltre avevano fortemente ridimensionato, ancora una volta in sintonia con le esigenze kantiane, le pretese della metafisica. Tuttavia l' esito scettico di Hume aveva coinvolto, oltre ai tradizionali oggetti della metafisica , anche i fondamenti della scienza moderna (newtoniana) , dei quali Kant non ebbe mai a dubitare. Indipendentemente dalla funzione storicamente svolta da Hume nella nascita del criticismo kantiano, è certo che il pensiero dello scozzese esercitò uno stimolo importantissimo , anche in piena fase critica, circa la ricerca di un fondamento della conoscenza che , se da un lato mostrava l' illusorietà della metafisica , dall' altro salvaguardava la validità del sapere scientifico . La critica alla validità necessaria della scienza era stata imperniata da Hune sulla nozione della causalità. Egli aveva mostrato, e Kant accoglie questa critica, come l' esperienza non fornisca mai la necessità della connessione causale , ma soltanto una successione temporale e una contiguità spaziale dei fenomeni . Nella terminologia kantiana ciò si esprime dicendo che la necessità causale non può essere data da alcun giudizio a posteriori (d'esperienza). Nello stesso tempo anche Hume , come Kant , sapeva bene che la causalità necessaria non può essere dimostrata in base al principio di identità , poichè l' effetto non è identico con la sua causa . In termini Kantiani la causalità non è data da alcun giudizio analitico (fondato sul principio d' identità) . Se si vuol salvare la validità oggettiva della causalità, e con essa quella di tutti i concetti intellettuali di cui la scienza si serve per dare leggi alla natura, il problema diventa allora quello di ritrovare una forma di connessione (nella fattispecie tra causa ed effetto , ma in generale tra le rappresentazioni che devono essere connesse necessariamente) , la quale da un lato non si fondi sull' esperienza (poichè questa , essendo sempre particolare , non può dare conoscenze universali) , e dall' altro non si riduca all' applicazione del principio di identità (che è inadeguato a spigare la connessione di cose irriducibili l' una all' altra) . In altri termini si tratta di indagare la possibilità di un giudizio che per un verso non sia a posteriori , ma a priori , e per l' altro non sia analitico , ma sintetico : si tratta cioè di vedere se , e come , siano possibili giudizi sintetici a priori .L'Introduzione alla Critica della ragion pura contiene infatti una rigorosa distinzione tra tre tipi di giudizio . Il giudizio analitico a priori è quello in cui il concetto del predicato è già contenuto nel concetto del soggetto , essendo sostanzialmente identico ad esso : ad esempio , "il tutto è maggiore della parte". La funzione di questo giudizio è semplicemente quella di esplicitare ciò che è già implicitamente dato. Di conseguenza esso ha il vantaggio di essere universale (in quanto a priori) e lo svantaggio di essere sterile , di non produrre nuova conoscenza (in quanto analitico) . Il giudizio sintetico a posteriori consiste invece nell' unione di due concetti diversi sulla base dell' esperienza : ad esempio , "l' erba è verde" . Esso presenta il vantaggio di essere fecondo producendo nuova conoscenza (in quanto sintetico): il predicato "verde" non è già contenuto nel soggetto "erba" , ma vi à aggiunto sinteticamente ; viceversa , ha lo svantaggio di essere particolare (in quanto a posteriori) e di non avere quindi validità scientifica . Se questi due tipi di giudizi sono entrambi deficitari , in quanto sono o particolari o sterili , la garanzia di una conoscenza che sia nel contempo universale e feconda può venire soltanto da un terzo tipo di giudizi (rimasti ignoti a Hume) : i giudizi sintetici a priori , nei quali la sintesi tra soggetto e predicato si fonda su un principio a priori , interno al soggetto conoscente . Come si è detto , dai giudizi sintetici a priori dipende la validità universale e necessaria , oltrechè nel concetto di causa , anche negli altri concetti intellettuali che istituiscono connessioni necessarie relative al mondo della natura . Da essi dipende quindi la possibilità della fisica come scienza razionale pura . Lo stesso discorso , inoltre vale per la matematica pura , poichè Kant osserva ancora una volta in opposizione alla tradizione leibniziana, come questa disciplina si componga di giudizi non già analitici , bensì sintetici . Nell' operazione 7 + 5 = 12 , infatti il concetto del 12 non è già implicitamente contenuto in quello della somma 7 + 5 , ma risulta dalla sintesi progressiva che il soggetto opera intuitivamente , aggiungendo al numero 7a una a una le unità che compongono il numero 5 . Anche la metafisica , infine se vuol far valere la pretesa di essere una scienza (assimilabile quindi , per quanto concerne la sua validità , alla matematica e alla fisica) , deve dimostrare di essere fondata su princìpi sintetici a priori . Le tre domande che esauriscono l' ambito di indagine della Critica - come sono possibili una matematica pura , una fisica pura , una metafisica come scienza - sono pertanto riconducibili all' unica domanda fondamentale : come sono possibili giudizi sintetici a priori ? Le connessioni necessarie che costituiscono il carattere universale della conoscenza non provengono dunque dall' oggetto , che di quelle connessioni é di per sè privo , ma dal soggetto stesso , il quale , nell' atto del conoscere , proietta sull' oggetto la propria capacità sintetica. Questo ribaltamento di prospettiva , che sposta dall' oggetto al soggetto il fondamento della conoscenza , é paragonato da Kant alla rivoluzione copernicana , che ha spostato il centro dell' universo dalla Terra al Sole . Questa rivoluzione é stata realizzata nella matematica quando Talete capì che per dimostrare le proprietà del triangolo isoscele non era sufficiente studiarne la figura oggettiva , ma occorreva costruirlo secondo criteri posti dal soggetto stesso . Qualcosa di analogo avvenne in fisica quando Galileo Galilei e Torricelli fecero i loro esperimenti sul piano inclinato o sulla pressione atmosferica : essi ritrovarono nella natura , cioè nell' oggetto , soltanto ciò che la loro ragione , in quanto soggetto , vi aveva preliminarmente introdotto. La medesima rivoluzione deve essere ora compiuta , sostiene Kant , anche dalla filosofia , la quale deve occuparsi non più degli oggetti in se stessi , bensì degli elementi a priori che nel soggetto rendono possibile la costituzione e la conoscenza di quegli oggetti . Una simile filosofia é una filosofia trascendentale .

LA PARTIZIONE DELLA CRITICA DELLA RAGION PURA
La Critica della ragion pura , come le altre opere maggiori di Kant , é scritta sotto forma di trattato sistematico . La scelta del genere letterario non é nè casuale nè un semplice omaggio alla tradizione filosofica tedesca , che aveva generalmente preferito il trattato ad altre forme espositive . Per Kant la sistematicità é un' esigenza intellettuale e metodologica irrinunciabile : infatti l' unità sistematica é ciò che prima di tutto fa di una conoscenza comune una scienza , cioè di un semplice aggregato d' essa un sistema. Le Critiche sono considerate da Kant opere propedeutiche a un sistema della filosofia nel quale i contenuti del sapere , divisi nelle due branche del sapere teoretico ( relativo al mondo della natura) e del sapere pratico (relativo alla sfera della libertà) , trovano una collocazione organica . Ma l'aspetto sistematico investe la Critica stessa , così come le altre opere propedeutiche : infatti la ragione umana , che é oggetto oltre che soggetto di tale indagine , ha una struttura architettonica , e l' esposizione delle sue componenti e dei suoi momenti interni non può essere casuale , ma deve riflettere la struttura oggettiva della conoscenza. Per questo nella seconda e nella terza Critica Kant tenta di riprendere , nella misura in cui l' argomento lo consente , la stessa articolazione espositiva della Critica della ragion pura. Quest'ultima é innanzitutto divisa in due parti, relative rispettivamente alla Dottrina degli elementi e alla Dottrina del metodo. La prima contiene la scomposizione della ragione nelle sue parti componenti o , appunto , nei suoi elementi ( il termine conserva un' eco euclidea); la seconda riguarda l'applicazione di tali elementi secondo un metodo. Dal momento che la trattazione metodologica é comunque ampiamente anticipata nell' esposizione degli elementi , la seconda parte della Critica ha un' estensione e un' importanza assai minori della prima. Conviene quindi soffermarsi maggiormente sulla Dottrina degli elementi. La Dottrina degli elementi risulta a sua volta divisa in Estetica trascendentale e Logica trascendentale . L' Estetica riguarda la dottrina della sensibilità ( dal greco aìsthesis = sensazione) . La Logica riguarda invece l' elemento del pensiero, considerato dapprima nella facoltà dell' intelletto poi in quella della ragione dialettica ( o ragione in senso proprio , in opposizione al significato lato del termine, che indica, come avviene nel titolo dell' opera , il complesso delle facoltà conoscitive) . In questo modo la Logica si divide ancora in Analitica trascendentale ( relativa all' intelletto) e Dialettica trascendentale (relativa alla ragione) . Tutte queste ripartizioni sono accompagnate dall' aggettivo " trascendentale " in quanto hanno per oggetto le forme a priori delle singole facoltà ( sensibilità , intelletto , ragione ) , ossia le condizioni soggettive in base alle quali le diverse facoltà possono svolgere la loro funzione conoscitiva .
Dottrina degli elementi:














L'ESTETICA TRASCENDENTALE
L' Estetica trascendentale ha per oggetto le forme a priori della sensibilità, che è la facoltà di essere modificati dagli oggetti esterni . Infatti, ogni conoscenza comincia con l' esperienza , ovvero con l' affezione dei nostri sensi da parte degli oggetti esterni attraverso un' intuizione (termine con il quale Kant indica qualsiasi rappresentazione immediata, cioè non discorsiva) . Ma se l'esperienza fornisce a posteriori il materiale della conoscenza , sono invece determinate a priori le forme , cioè le modalità del soggetto che condizionano e rendono possibili la ricezione del materiale . L' intuizione conterrà quindi in sé due aspetti : da un lato , il contenuto materiale della sensazione , dall' altro , la struttura formale che condiziona la possibilità del ricevere . Questo aspetto formale dell' intuizione è l' intuizione pura ; mentre la congiunzione di un' intuizione pura con la sensazione materiale costituisce l' intuizione empirica . Fin dalla Dissertazione del ' 70 Kant individua nello spazio e nel tempo le forme a priori della sensibilità : lo spazio è la forma del senso esterno , il tempo quella del senso interno. Spazio e tempo non sono dunque né rappresentazioni astratte dall' esperienza , né concetti costruiti discorsivamente dall' intelletto, ma intuizioni pure, le quali costituiscono le condizioni a priori di qualsiasi rappresentazione sensibile e quindi sono precedenti ad ogni esperienza possibile . In altri termini , tutto ciò che è dato nell' intuizione , viene necessariamente rappresentato nello spazio e nel tempo . A causa di questo processo di spazializzazione e di temporalizzazione noi non conosciamo gli oggetti come essi sono in sé , ma soltanto come ci appaiono , ovvero come fenomeni . Più precisamente , lo spazio è l' intuizione pura dei fenomeni del senso esterno, il tempo è l'intuizione pura dei fenomeni del senso interno . Ma poiché i fenomeni del senso esterno, in quanto dati al soggetto , sono anche fenomeni del senso interno e vengono rappresentati nell' elemento temporale , il tempo viene ad essere l' intuizione pura di tutti i fenomeni, di quelli del senso interno direttamente , di quelli del senso esterno (dati direttamente nello spazio) indirettamente .Lo spazio e il tempo , inoltre , stanno a fondamento della matematica , in quanto consentono la costruzione intuitiva delle conoscenze sintetiche dell' aritmetica e della geometria . Infatti , l' intuizione pura della continuità temporale stà alla base dell' aritmetica , rendendo possibile la successione numerica , cioè l' aggiunta successiva di una nuova unità alla quantità numerica già data . Analogamente l' intuizione della contiguità spaziale fonda la possibilità della costruzione delle figure geometriche : la linea non è che il movimento ideale di un punto nello spazio , così come il piano è dato dal movimento di una linea e il volume dei corpi dal movimento di un piano . La possibilità della matematica - la prima domanda che Kant si pone nell' introduzione alla Critica - comincia quindi a ricevere una parziale risposta fin dall' Estetica trascendentale, anche se l' aspetto sintetico contenuto nelle intuizioni matematiche (la sintesi di numero con numero , di punto con punto) potrà essere spiegato completamente soltanto con l' esposizione delle forme a priori dell' intelletto, che è oggetto dell' Analitica trascendentale .

L' ANALITICA TRASCENDENTALE DEI CONCETTI
Le intuizioni empiriche di per sé non costituiscono ancora autentiche conoscenze . Esse constano infatti di una molteplicità di dati empirici cui manca quella connessione e quell'unità che li costituisce in un oggetto di conoscenza . La facoltà che compie questa ulteriore operazione di unificazione , pensando agli oggetti che nella sensibilità erano semplicemente intuiti , è l' intelletto, il quale opera non più mediante intuizioni (rappresentazioni immediate) , bensì attraverso concetti (rappresentazioni discorsive). Il concetto esprime infatti una "funzione" , cioè consiste nell' ordinare diverse rappresentazioni (che possono a loro volta essere concetti o semplici intuizioni) sotto una rappresentazione comune , conferendo loro unità . L' atto con cui i concetti dell' intelletto esplicano la loro forza unificante è il giudizio : pensare significa quindi sempre giudicare . La prima parte dell' Analitica trascendentale ha per oggetto le forme a priori dell' intelletto e prende il nome di Analitica dei concetti . Infatti , la funzione unificante dell' intelletto è resa possibile da concetti puri , che costituiscono le forme a priori necessarie di qualsiasi giudizio . In altri termini , essi sono le regole mediante le quali l' intelletto giudica , unificando le rappresentazioni : soltanto mediante i concetti puri è quindi possibile pensare un oggetto qualsiasi , riconducendo ad unità il molteplice delle delle intuizioni date dall' esperienza . Kant chiama tali concetti categorie , in quanto essi definiscono i modi universali del pensare (ovvero del giudicare), così come le categorie aristoteliche definivano i modi universali dell' essere . Il loro numero e il loro carattere sono determinati in stretta analogia con il numero e il carattere dei tipi possibili di giudizio . Dalla tavola dei giudizi (compilata in base alle regole della logica tradizionale , di ascendenza aristotelico-scolastica) , Kant deduce quindi la Tavola delle categorie secondo il seguente prospetto :














E' importante notare che nelle categorie della relazione entrano anche la sostanza e la causa , concetti che erano stati oggetto di una radicale delegittimazione in nome della critica alla metafisica , soprattutto da parte della tradizione empiristica inglese (Locke, Hume) . D' altra parte questi concetti erano indispensabili alla fisica moderna (Newton) , seppure su un piano non più metafisico ma metodologico . Ed è appunto nell' ambito gnoseologico che Kant realizza il recupero di questi concetti . Anche per lui - come per gli empiristi inglesi - sostanza e causa perdono ogni validità sul piano metafisico , in quanto non sono attributi delle cose in sé (che cadono al di là di ogni possibilità di conoscenza) . Essi invece, in quanto concetti puri dell' intelletto , sono forme a priori che condizionano la possibilità stessa della conoscenza e , nello stesso tempo proiettano su di essa l' universalità e la necessità che li caratterizza . In altri termini , la validità oggettiva di questi concetti è data dal fatto che noi non possiamo pensare i fenomeni dell' esperienza se non in termini di sostanza e di causa , poiché la sostanza e la causa rappresentano strutture necessarie del nostro pensiero intellettuale. L' esposizione della Tavola delle categorie lascia tuttavia aperto un problema. Come si può dimostrare che i concetti puri , pur essendo forme intellettuali soggettive , danno luogo a conoscenze fornite di validità universale e oggettiva ? Sorge , in altri termini , il problema della legittimazione delle categorie e del loro uso ; problema che non si poneva nel caso delle intuizioni pure, poiché qui il materiale dell' intuizione non può darsi se non attraverso le forme a priori dello spazio e del tempo , che vengono legittimate proprio dall' unicità e necessità del loro uso . Ma , nel caso delle categorie , in primo luogo , é da dimostrare che l' unificazione da esse operata corrisponde agli oggetti dell' esperienza ; e , in secondo luogo , occorre accertare quale sia l' uso che si può legittimamente fare di esse , nel caso che siano possibili usi diversi . A questo problema risponde la deduzione trascendentale delle categorie , dove il termine " deduzione " é preso da Kant nell' inconsueta accezione , mutuata dal linguaggio giuridico , di " giustificazione " . Kant comincia con l' osservare che , poiché ogni nostro pensiero comporta un' unificazione delle intuizioni , occorre che esista una " unità originaria " che preceda ( non cronologicamente , ma logicamente ) tutti i singoli atti di unificazione . In altri termini occorre individuare nel soggetto conoscente un termine di riferimento unitario a cui vengono rapportate tutte le rappresentazioni , in modo che esse trovino la loro possibilità di unificazione proprio in questa relazione con quel riferimento . D' altra parte , poiché l' unificazione é possibile solo attraverso un atto di spontaneità del pensiero ( in opposizione all' intuizione che comporta una condizione di passività della sensibilità ) , questo unico termine di riferimento può essere solamente un atto del pensiero . All' unità originaria che sta alla base di ogni unificazione Kant dà quindi il nome di Io penso , esprimendo con tale termine l' autocoscienza (o appercezione trascendentale ) del soggetto conoscente che , riferendo a se stesso ogni rappresentazione , ne costituisce il comune elemento unificante . L' io penso deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni ; altrimenti verrebbe rappresentato in me qualcosa che non potrebbe essere pensato , il che poi significa che la rappresentazione per me sarebbe impossibile o , almeno per me , non esisterebbe , così dice Kant . Affinché io possa rappresentarmi qualcosa , occorre che la rappresentazione sia presente nella mia autocoscienza ; in caso contrario io non posso rappresentarmi nulla . Ma poiché questo vale per tutte le rappresentazioni , esse vengono unificate proprio dal riferimento necessario all’autocoscienza che é l' Io penso . Inoltre , poiché l' Io penso , pur essendo un' autocoscienza individuale , é identico in tutti (ossia tutti hanno la stessa struttura unificante) , il risultato dell' unificazione sarà valido universalmente e oggettivamente . Ora , le categorie non sono altro che le articolazioni interne dell' Io penso , le " funzioni logiche " attraverso cui esso opera la sintesi trascendentale . Esse vengono quindi dedotte , cioè giustificate , dal fatto che l' unificazione del molteplice , e quindi la conoscenza stessa , non può avvenire se non attraverso di esse . Nello stesso tempo viene definito il loro unico uso legittimo : dal momento che la sintesi é possibile solo in presenza di una molteplicità di dati intuitivi da unificare , le categorie debbono essere applicate esclusivamente alle intuizioni empiriche , all' ambito dell' esperienza ( uso empirico delle categorie ) . In altre parole , come le intuizioni della sensibilità , prive della funzione unificante dei concetti , sono " cieche " , cioè non conducono alla costruzione di alcuna conoscenza , così i concetti , se non sono riferiti al materiale empirico , sono " vuoti " , cioè danno luogo a puri giochi intellettuali che non hanno riscontro nel mondo esterno al soggetto . Da operazioni concettuali di questo genere , derivanti dall' applicazione delle categorie al di fuori delle intuizioni sensibili, scaturiscono gli infiniti erramenti della ragione metafisica (uso trascendentale delle categorie ) . Come si é visto a proposito dell' Estetica trascendentale , le intuizioni sensibili non sono mai rappresentazioni di cose in sé , ma soltanto di fenomeni . Potendo essere applicate esclusivamente ai dati dell' intuizione , anche le categorie , se usate correttamente , saranno riferibili solo al mondo fenomenico . Oggetto della conoscenza umana é quindi sempre soltanto il fenomeno . La cosa in sé , non potendo essere né intuita né unificata categorialmente , non può essere conosciuta . Lo stesso soggetto pensante conosce se stesso solo come fenomeno , cioè come appare a se stesso nell' esperienza interna , e quindi nell' intuizione pura del tempo ( l' Io penso comporta solo la coscienza trascendentale di sé come soggetto , non la conoscenza di sé come oggetto ) . Il non - fenomeno non può essere conosciuto (il che implicherebbe la combinazione di intuizione sensibile e sintesi categoriale , ma soltanto pensato come concetto - limite , come possibilità negativa che serve a definire , per contrasto , la possibilità positiva del fenomeno : questo concetto limite assume appunto il nome di noumeno ( " pensato " ) .



L' ANALITICA TRASCENDENTALE DEI PRINCIPI
Finora abbiamo considerato soltanto la prima parte dell' Analitica trascendentale che Kant chiama Analitica dei concetti . Il compito di questa parte consisteva nello scomporre la facoltà dell'intelletto nei suoi elementi costitutivi, in modo da enucleare le forme a priori in base alle quali esso opera : le categorie o, appunto, i concetti puri . Rimane da chiarire in che maniera le singole categorie possano essere applicate concretamente alle istituzioni , in modo da dare origine a quei "giudizi di esperienza" che ci consentono la conoscenza della natura . A questo problema risponde la seconda parte dell' Analitica trascendentale , che reca il nome di Analitica dei princìpi . Prima di passare all' esame di questi principi , occorre tuttavia ancora esaminare una questione preliminare . Nell' Analitica dei concetti Kant , oltre a dare l' elenco delle categorie , ha fornito , attraverso la deduzione trascendentale , anche la giustificazione della loro validità oggettiva e l' indicazione del loro unico uso legittimo : l' applicazione delle intuizioni della sensibilità . Ma questa applicazione appare problematica per la radicale eterogeneità che intercorre tra le categorie (intellettuali) e le intuizioni (sensibili) . A tale questione risponde lo schematismo trascendentale , il quale si propone di trovare un termine intermedio che sia omogeneo , da un lato, con il carattere sensibile delle intuizioni e , dall' altro , con la natura intelligibile delle categorie . L' anello intermedio può essere dato soltanto da una facoltà che sia essa stessa intermedia tra la sensibilità e l' intelletto , riunendo in sé aspetti della prima come del secondo . Questa facoltà è l' immaginazione pura (o produttiva) , intesa come "effetto dell' intelletto sulla sensibilità e sua prima applicazione a soggetti dell' intuizione possibile": come la sensibilità, l' immaginazione ha per oggetto intuizioni , ma come l' intelletto (del quale già risente l' influsso) , è in grado di operare un primo livello di sintesi dei dati empirici ("sintesi empirica") che prepara e prefigura la "sintesi trascendentale" , di natura concettuale , operata dall' intelletto . L'immaginazione è ciò che ci consente di intuire i dati empirici non soltanto nel tempo , ma in una determinata modalità temporale , per esempio la contemporaneità o la successione del tempo , e implica pertanto già una certa forma di connessione . Queste "determinazioni del tempo secondo regole" , prodotte dall' immaginazione , sono gli schemi trascendentali puri , che costituiscono l' elemento di raccordo tra intuizioni e categorie : in quanto determinazioni del tempo , essi sono infatti omogenei con l' elemento sensibile (il tempo è un' intuizione della sensibilità); in quanto determinazioni secondo "regole" di natura intellettuale , essi rimandano invece alle categorie , delle quali quelle regole stanno a fondamento . In questo modo si stabilisce una corrispondenza precisa tra i singoli schemi puri e le singole categorie o almeno i singoli gruppi di categorie . Così , ad esempio , per limitarci alle categorie della relazione , allo schema puro della permanenza del tempo corrisponde la categoria della sostanza ; a quello della successione la categoria della causalità ; a quello della contemporaneità la categoria della comunanza d' azione . In concreto , quando l' immaginazione mi dà , ad esempio , due fenomeni in successione , io devo connetterli applicando la categoria della causalità, poiché la successione fornitami dall' immaginazione non è che , per così dire , la proiezione della categoria (intellettuale) della causalità sul piano (sensibile) dell' intuizione del tempo. Abbiamo detto che gli schemi sono determinazioni del tempo secondo regole Ma queste ultime non sono altro che le "regole dell' uso oggettivo delle categorie", cioè i criteri che stanno a fondamento di ogni uso legittimo dell' intelletto. Essendo tanto generali da fondare ogni conoscenza senza essere a loro volta fondate su norme più elevate , tali regole prendono il nome di principi puri dell' intelletto e si dividono in quattro gruppi . 1) Gli assiomi dell' intuizione hanno come principio che "tutte le intuizioni sono quantità estensive" . Tutti gli oggetti che noi intuiamo nello spazio e nel tempo sono per ciò stesso dati come quantità . Noi non possiamo intuire oggetti se non in forma quantitativa . Il che implica la possibilità e insieme la necessità di applicare la matematica (la scienza della quantità) alla conoscenza degli oggetti naturali , ossia alla fisica . 2) Le anticipazioni della percezione hanno come principio : "In tutti i fenomeni il reale che è oggetto della sensazione ha una qualità intensiva , cioè un grado" . Tutte le percezioni hanno un determinato grado di intensità : è impossibile percepire senza avere l' impressione soggettiva dell' intensità . Ma a quest' ultima corrisponde , sul piano dell' esperienza oggettiva , un grado , ossia una grandezza misurabile , le cui variazioni possono essere previste e misurate dall' intelletto (di qui l' espressione "anticipazioni della percezione" da parte dell' intelletto) . Anche qui si garantisce l' applicabilità della matematica alla conoscenza della natura . 3) Le analogie dell' esperienza sono forse le più importanti ed hanno come principio generale che "l' esperienza è possibile soltanto mediante una rappresentazione di una connessione necessaria delle percezioni" . In altri termini : l' esperienza del mondo naturale è possibile soltanto in quanto esso si configura come un insieme di leggi necessarie . Le connessioni necessarie che l' intelletto istituisce tra i fenomeni possono essere tre : la permanenza , la successione e la simultaneità (che esprimono i tre schemi puri i quali , a loro volta , corrispondono alle categorie della sostanza , della causalità e della relazione reciproca) . Di qui scaturiscono tre analogie dell' esperienza . a) La prima analogia stabilisce il principio - che è presupposto indiscutibile della scienza della natura - della permanenza della sostanza: "In ogni cambiamento dei fenomeni la sostanza permane e la quantità di essa nella natura non aumenta né diminuisce" . b) La seconda analogia contiene la legge della causalità necessaria: "Tutti i fenomeni accadono secondo la legge della connessione della causa e dell' effetto". In tal modo il problema humiano della causalità riceve una risposta definitiva da parte di Kant . c) La terza analogia sancisce il principio della simultaneità secondo la legge dell' azione reciproca: "Tutte le sostanze ,in quanto percepibili nello spazio come simultanee , si trovano tra loro in un' azione reciproca universale" . Questo principio , che estende quello della causalità necessaria (seconda analogia) dalla dimensione unidirezionale a quella pluridirezionale , consente di vedere l' intero mondo naturale come un insieme nel quale ciascun fenomeno è nello stesso tempo causa ed effetto di tutti gli altri (si pensi alla gravitazione universale di Newton) . 4) I postulati del pensiero empirico in generale non riguardano la determinazione degli oggetti quanto al loro contenuto , ma si limitano a decidere se esso è soltanto possibile (quando "è in accordo con le condizioni formali dell' esperienza" , cioè quando può essere dato nello spazio e nel tempo e può essere oggetto di sintesi categoriale) , oppure è reale (quando "si connette con le condizioni materiali dell' esperienza" , ossia quando è dato da una sensazione effettiva) , oppure è necessario (quando la sua connessione con il reale "è determinata secondo le condizioni universali dell' esperienza" , cioè è dimostrabile in base a una legge universale della natura) . I princìpi puri dell' intelletto coincidono per Kant con le leggi universali della natura (che corrispondono a loro volta ai princìpi della scienza newtoniana) . In questo modo Kant giunge alla soluzione di uno dei problemi fondamentali della Critica : come sia possibile una natura in generale (e quindi una fisica come scienza pura) . Intesa come insieme unitario dei fenomeni (natura materialiter spectata) la natura è resa possibile dalle leggi della sensibilità , secondo le quali le sensazioni sono percepite e ordinate nello spazio e nel tempo . Considerata invece come complesso unitario delle leggi che connettono i fenomeni in maniera necessaria (natura formaliter spectata) , la natura è resa possibile dalle categorie e dai principi puri dell' intelletto . L' unità che si riscontra nel mondo naturale non è dunque intrinseca alle cose in sé (che non vengono conosciute) , ma il riflesso , nel mondo fenomenico, dell' unità trascendentale (dell' io penso) . Analogamente le leggi che connettono i fenomeni naturali sono ad essi prescritte dalle forme a priori dell' intelletto : La "rivoluzione copernicana" è completata : il carattere unitario e legale della natura non è dato dall' oggetto , ma da una proiezione del soggetto sull' oggetto . Siamo noi che costituiamo la natura come un insieme unitario di fenomeni , connesso da leggi necessarie che non sono altro che le regole fondamentali del nostro intelletto , ossia le strutture trascendentali del nostro pensiero .



LA DIALETTICA TRASCENDENTALE
Si é visto che le categorie devono essere impiegate soltanto in presenza di dati dell' intuizione : il loro unico uso legittimo è quello empirico. Le intuizioni della sensibilità a cui esse si applicano si riferiscono sempre a porzioni determinate di esperienza , cioè a un numero di fenomeni limitato numericamente e condizionato da precisi rapporti spazio-temporali . In fisica , ad esempio , le leggi che l' intelletto impone alla natura sono valide in quanto si riferiscono sempre ad ambiti fenomenici effettivamente esperibili dall' uomo . Nella ragione umana - osserva Kant - esiste tuttavia la naturale tendenza a fare uso trascendentale delle categorie , ossia un uso che travalica (trascende) i confini dell' esperienza . In questo caso , infatti , il soggetto , avvalendosi del fatto che le categorie sono strutture puramente formali del pensiero , di per sé prive di connessioni estrinseche con il materiale dell'esperienza , ne fa un uso extra-empirico e quindi illegittimo . Più precisamente le categorie , anziché essere applicate a una quantità condizionata di fenomeni effettivamente esperibili , sono utilizzate per operare sintesi puramente logiche , in modo da produrre concetti di totalità incondizionate di fenomeni che , in quanto illimitate , non possono essere date da alcuna esperienza reale . Kant ritiene anzi che nell' uomo esista una facoltà specificamente preposta a questa erronea quanto naturale tendenza : la ragione in senso stretto : I concetti di totalità assolute che la ragione produce con un uso trascendente delle categorie sono le idee trascendentali . Poiché si danno tre tipi possibili di totalità assolute , anche le idee saranno riconducibili a tre concetti fondamentali della ragione: 1) l'idea dell' anima è l' unità (o totalità) incondizionata del soggetto pensante (ovvero di tutti i fenomeni interni) ; 2) l' idea del mondo è il concetto dell' unità incondizionata di tutti i fenomeni esterni ; 3) L' idea di Dio è il concetto dell' unità incondizionata di tutti gli oggetti del pensiero in generale , ossia il fondamento ultimo di ogni realtà pensabile . Ma l' anima , il mondo e Dio sono i temi fondamentali della metafisica tradizionale : secondo la distinzione wolffiana , l' anima è l' oggetto della psicologia razionale, il mondo l' oggetto della cosmologia razionale e Dio l' oggetto della teologia razionale . La critica Kantiana all' uso trascendente delle idee coincide dunque con la critica della metafisica , la cui pretesa di conoscere l' essenza dell' anima e del mondo, nonché gli attributi di Dio , nasce appunto dall' illusione di poter estendere l' uso delle strutture formali del pensiero umano al di là dei limiti dell' esperienza . La critica della metafisica é demandata alla Dialettica trascendentale : tuttavia Kant é ben consapevole che le argomentazioni della Dialettica non potranno mai eliminare dall' uomo la tendenza metafisica , radicata nella sua natura e inerente alla particolare costituzione delle sue facoltà conoscitive , ma dovranno limitarsi a svelare i meccanismi logici dai quali scaturisce un sapere illusorio. Le idee presentano infatti tre diverse e specifiche ragioni di infondatezza , anche se la causa generale del loro carattere illusorio - il mancato riferimento all' esperienza possibile - é comune a tutte . L' idea dell' anima si fonda sul paralogismo , cioè su un falso sillogismo , nel quale , giocando sull' ambivalenza semantica dei termini , si assegna un significato diverso all' espressione " soggetto " che compare come termine medio tanto nella prima quanto nella seconda premessa : in questo modo si pretende di passare dall' affermazione del carattere unitario del soggetto pensante alla definizione di quest' ultimo in termini di sostanza spirituale ( o anima ) . In altre parole , la categoria di sostanza viene qui erroneamente applicata all' Io penso , cioè a quella funzione unificante dell' intelletto che , se é sempre soggetto della sintesi categoriale, non può però mai esserne oggetto, poiché non può mai essere percepita sensibilmente e quindi conosciuta intellettualmente . Se l' idea di anima si fonda su un ragionamento scorretto , quella di mondo mette capo a una serie di antinomie , cioè a quattro coppie di affermazioni opposte , nelle quali tanto la tesi quanto l' antitesi sono logicamente inconfutabili : 1) che il mondo sia finito oppure infinito nello spazio e nel tempo ; 2) che esso consti di elementi ultimi oppure sia divisibile all' infinito ; 3) che vi sia in esso una causalità libera oppure che tutto sia determinato in base a leggi naturali ; 4) che esso dipenda da un essere necessario o che in esso tutto sia contingente . In favore di ciascuna delle due alternative contenute nelle quattro antinomie è possibile addurre argomenti logicamente cogenti , cioè privi di contraddizione interna : ma ciò dipende esclusivamente dal fatto che il concetto di mondo , cui si applicano le diverse argomentazioni e contro argomentazioni , cade al di fuori di ogni esperienza possibile : L' applicazione delle categorie a un simile concetto , che di conseguenza non è mai dato nell' intuizione , è pertanto completamente arbitraria e conduce a mere costruzioni logiche . Ciononostante Kant introduce una differenza di valore , di grande importanza per gli aspetti etici del suo pensiero , tra le prime due antinomie (matematiche) e le ultime due (dinamiche) . Nelle antinomie dinamiche , invece tesi e antitesi possono essere entrambe vere, purché riferite a due ordini diversi di realtà : le tesi (libertà , esistenza di un essere necessario) alle cose in sé , le antitesi (necessità causale , contingenza universale) ai fenomeni . Può dirsi infatti , che al di fuori del mondo fenomenico siano possibili la libertà e una causa ultima e necessaria del tutto , escluse dalla sfera dei fenomeni : tuttavia sul piano teoretico tali affermazioni non hanno alcun valore conoscitivo , ma esprimono soltanto una possibilità che la ragione non esclude . L' idea di Dio , infine , riposa storicamente su tre tipi di prove dell' esistenza dell' essere necessario : ontologica , cosmologica , fisico-teologica . Compito della dialettica sarà quindi mostrare l' inconsistenza teoretica di queste dimostrazioni . La prova ontologica , che risale adAnselmo d'Aosta, è del tutto a priori : nel concetto stesso di Dio come essere perfetto è inclusa l' esistenza , poiché , se ciò che è perfetto non esistesse , sarebbe privo di un attributo essenziale e , quindi , non sarebbe perfetto. Kant osserva però - in consonanza con quanto aveva già fatto nell' Unico argomento possibile per una dimostrazione dell' esistenza di Dio - che l' esistenza non entra nella determinazione del concetto , e quindi la sua assenza o presenza nulla tolgono o aggiungono alla perfezione di quest' ultimo . Sul piano logico , il concetto di cento talleri è perfetto sia che essi esistano sia che non esistano , anche se ovviamente sul piano reale sussiste una grande differenza tra le due ipotesi . La prova cosmologica invece , nella definizione datane da Kant , induce l' esistenza di Dio a posteriori , in base al fatto che , se nel mondo si danno esseri contingenti , deve esistere anche un essere necessario come loro causa . Sempre a posteriori, la prova fisico-teologica intende risalire dall' ordine e dalla finalità constatabile nel mondo a Dio come suprema causa ordinatrice . Tanto il concetto di un essere necessario quanto quello di una causa ordinatrice del mondo , tuttavia , si possono riferire a Dio solo in quanto ad essi si aggiunga a priori il concetto dell' essere perfettissimo : la prova cosmologica e la prova fisico-teologica rimandano quindi necessariamente a quella ontologica . Ma , dimostrata l' incongruenza di quest' ultima , anche le altre due prove perdono la loro cogenza . Esaurita la critica alle tre idee della ragione, Kant precisa tuttavia che ciò non comporta la completa destituzione di senso delle idee stesse . Al contrario , esse svolgono un' importante funzione nell' organizzazione della conoscenza . Il concetto della totalità incondizionata , a cui sono riconducibili tutte le idee , è infatti indispensabile per promuovere l' unità sistematica del sapere : soltanto mediante il riferimento al tutto è possibile determinare una collocazione specifica delle singole conoscenze , esattamente come soltanto avendo un' idea complessiva dell' immagine da costruire si possono collocare al giusto posto le tessere di un mosaico . Anche le idee trascendentali ricevono quindi la loro giustificazione , a condizione che di esse non si faccia un uso costitutivo , come se "costituissero" legittimamente il loro oggetto di conoscenza (così come avviene nella sintesi delle categorie) , bensì esclusivamente un uso regolativo , cioè finalizzato alla costruzione di un modello ideale che riveste un semplice valore euristico-metodologico .




LA MORALE E L'ETICA DELL' AUTONOMIA
La Critica della ragion pura destituisce di fondamento teoretico la metafisica . Nella maggior parte delle filosofie precedenti a Kant , tuttavia , su presupposti metafisici poggiavano non solamente le dottrine sull' essenza dell' uomo , del mondo e di Dio , ma anche quelle relative alle regole del comportamento umano . Al termine della prima Critica Kant si trova dunque di fronte al problema della fondazione della morale in un contesto filosofico che , come quello trascendentale , esclude il riferimento al dogmatismo metafisico . I termini iniziali del problema morale , in realtà , non sono molto diversi da quelli del problema gnoseologico . Là si trattava di verificare la possibilità di una conoscenza che traesse la sua universale necessità non già dagli oggetti in sé , bensì dalle forme a priori del soggetto . Qui si tratta di indagare sulla possibilità di una legge morale , la cui universale validità , anziché essere iscritta in una (inconoscibile ) dimensione metafisica , sia determinata dalle facoltà soggettive dell' uomo . Ovvero : il problema gnoseologico consisteva nella ricerca delle condizioni a priori (soggettive) di una conoscenza valida oggettivamente ; il problema morale consiste nella ricerca delle condizioni a priori di un agire valido universalmente . A questo problema Kant dedica la Fondazione della metafisica dei costumi e la Critica della ragion pratica . Quali moventi soggettivi dell' azione umana possono dunque aspirare a valere universalmente , ossia a diventare motivi oggetti dell' azione ? Procediamo per esclusione . Non certo i moventi della sensibilità , poiché quest' ultima , radicata nella particolarità delle inclinazioni individuali , assume aspetti diversi di caso in caso . La "volontà buona", universalmente valida , deve dunque essere determinata non dalla sensibilità , ma dalla ragione . Tuttavia , mentre l' uomo tende a seguire spontaneamente le inclinazioni sensibili , i precetti razionali hanno sempre carattere imperativo , cioè consistono di comandi cui il soggetto si sottopone soltanto attraverso una forma di coercizione della volontà da parte della ragione . Gli imperativi ipotetici comandano un' azione in vista di un fine particolare , che non deve necessariamente essere condiviso da tutti e non possono quindi avere validità universale . L' imperativo categorico invece comanda incondizionatamente : l' azione che esso impone deve essere compiuta in ogni caso , senza riguardo a situazioni o interessi particolari , per il solo fatto che essa viene comandata direttamente ed esclusivamente dalla ragione . Esso esprime la legge del dovere per il dovere e vale quindi sempre per tutti , necessariamente e universalmente . Soltanto l' imperativo categorico , dunque , soddisfa l' esigenza di universalità e necessità che deve contraddistinguere la "volontà buona" e l' azione morale . Essendo indipendente da condizioni e scopi particolari , l' imperativo categorico non ha un contenuto materiale , ma riveste un carattere puramente formale . Esso non dice che cosa si deve fare , ma come si deve agire affinché l'azione possa essere moralmente positiva . Esso bada quindi non tanto al risultato , quanto all' intenzione dell' agire . La sua formulazione più generale è la seguente : Agisci soltanto secondo quella massima che , al tempo stesso , puoi volere che diventi una legge universale . La "massima" , che esprime la regola soggettiva dell' azione, deve poter valere come "legge universale" , cioè come regola oggettiva dell' agire umano . Questa formulazione fondamentale si articola ulteriormente in tre sottoformulazioni che, senza nulla aggiungere alla prima , ne specificano però alcuni aspetti . La prima é "Agisci come se la massima della tua azione dovesse essere elevata dalla tua volontà a legge universale della natura". Nella misura in cui gli uomini agiscono moralmente , le loro azioni , obbedendo a un unico principio razionale ed avendo un ordine morale che é l' esatto corrispettivo dell' ordine fisico vigente nel mondo naturale . La seconda sottoformulazione recita "Agisci in modo da trattare l' umanità , sia nella tua persona sia in quella di ogni altro uomo , sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo". Si é visto infatti che l' azione morale comporta il massimo rispetto per la legge della ragione . Ma la ragione e l' umanità sono coessenziali : non si può rispettare la ragione senza rispettare l' umanità presente in noi ( é moralmente riprovevole , ad esempio , il suicidio ) o negli altri ( sono proibiti l' omicidio, la lesione, lo sfruttamento , l' offesa e così via ) . Infine la terza sottoformulazione ricorda che bisogna agire in modo che "La volontà , in base alla massima , possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice". Abbiamo visto che nell' azione morale la volontà dell' uomo é totalmente ed esclusivamente sottoposta alla ragione: ma, poiché la razionalità si identifica con l' essenza dell' uomo stesso , obbedendo alla ragione l' uomo non obbedisce che a se stesso e alla propria volontà . La morale kantiana é pertanto un' etica dell'autonomia , in cui l'uomo , tramite la ragione , dà a se stesso la propria legge . Viceversa , ogni comportamento in cui la volontà sia determinata dalla sensibilità , o comunque da moventi non esclusivamente razionali ( come accade negli imperativi ipotetici , in cui la ragione é piegata a un fine soggettivo dell' individuo ) , é espressione di eteronomia , dal momento che l' uomo subisce su di sè l' azione di qualcosa ( compresa la sensibilità ) che non coincide con la propria essenza .





I POSTULATI DELLA RAGION PRATICA
La legge morale é per Kant un fatto che l' uomo scopre nella propria coscienza razionale . Come tutti i dati di fatto essa non ha bisogno di "deduzione" , ma si giustifica da sé . Anzi , essa consente a sua volta di "dedurre" la realtà pratica di un concetto che nella Critica della ragion pura era ammesso come semplice possibilità : quello della libertà . Dal punto di vista teoretico , infatti l' esistenza della libertà non è suscettibile di dimostrazione , dal momento che essa , in quanto tesi della terza antinomia cosmologica , cade al di fuori dell' ambito fenomenico . Dal punto di vista pratico , invece , la libertà è una condizione sostanziale (ratio essendi) della moralità : una moralità priva di libertà non sarebbe possibile , perchè verrebbe meno la capacità del soggetto di essere causa prima (e responsabile) della propria azione . Sarebbe quindi impossibile quella autonomia del soggetto , cioè quella capacità dell' uomo morale di autodeterminarsi e di essere legislatore di se stesso , in cui risiede l' essenza dell' azione morale . D' altra parte , attraverso l'esperienza della libertà l' uomo acquista la consapevolezza del "fatto" morale : la moralità è dunque la condizione cognitiva (ratio conoscendi) della libertà . Pur non potendo mai accertarne teoreticamente la verità , occorre quindi ammettere la libertà umana per non contraddire la realtà di fatto della legge morale : la libertà è un postulato della ragion pratica. Accanto alla libertà Kant riconosce altri due postulati pratici : l' immortalità dell' anima e l' esistenza di Dio . La realtà di queste due nozioni è richiesta da un concetto pratico centrale nel pensiero kantiano : il sommo bene . Se la virtù è il bene supremo (il più elevato) , ad essa manca tuttavia la componente della felicità per realizzare il bene sommo (perfetto , completo in tutte le sue parti) . La giustizia più elementare vuole infatti che chi è virtuoso sia anche premiato con la felicità in proporzione al suo merito . Ma tale unione proporzionale di virtù e felicità , in cui consiste il sommo bene , appare problematica: chi vuol essere virtuoso , realizzando la pura legge del dovere razionale , non può ricercare la felicità , perchè quest' ultima , avendo natura sensibile , conferirebbe all' azione il carattere della particolarità (anziché dell' universalità) e la renderebbe eteronoma (anziché autonoma) . Inoltre , il sommo bene presuppone la possibilità per il soggetto morale di realizzare la virtù perfetta , ovvero la santità , completa adeguazione della volontà alla legge , nonché di meritare di conseguenza la felicità totale , la beatitudine . Ma in un essere finito e sensibile come l' uomo la santità (che è propria di Dio , nel quale l' assenza di un condizionamento sensibile consente l' immediata adeguatezza della volontà alla legge razionale) è più un ideale cui avvicinarsi indefinitamente che una realtà praticabile. Questi problemi trovano una soluzione , secondo Kant , nella testimonianza della coscienza morale . Mediante il postulato dell' essenza di Dio viene invece riconosciuta una causa intelligente del mondo , in grado di ordinare la natura , sede e condizione della felicità , in modo da "armonizzarla con l' intenzione morale" . I postulati della libertà , dell' immortalità dell' anima e dell' esistenza di Dio , danno all' uomo certezze che gli erano precluse in base all' analisi dei princìpi della conoscenza . In questo senso la ragion pratica detiene un primato sulla ragione teoretica, in quanto essa riesce a dare realtà a concetti che nella Critica della ragion pura si presentavano al massimo come possibilità teoretiche . Ciò non significa tuttavia che la ragion pratica consenta un' estensione dei limiti della conoscenza previsti dalla prima Critica . La validità dei postulati non è infatti assolutamente teoretica , ma soltanto pratica . Attraverso di essi si giunge alla certezza morale della libertà , dell' immortalità dell' anima e dell' esistenza di Dio , ma in nessun modo è possibile affermare la validità teoretica di tali concetti : ciò infatti presupporrebbe quella sintesi a priori che è possibile soltanto nell' ambito fenomenico. L' affermazione dell' esistenza di Dio consente a Kant di operare il passaggio dalla morale alla religione , all' analisi della quale è dedicato lo scritto La religione entro i limiti della sola ragione . La religione infatti non ha contenuti diversi dall' etica , ma comporta semplicemente il riconoscimento dei doveri morali come comandamenti divini. La volontà di Dio , che comanda all' uomo quelle stesse azioni già prescrittegli dalla legge morale , non è dunque arbitraria, ma pienamente conforme alla ragione universalmente legislatrice. La fede religiosa si traduce in fede razionale, nella quale nulla è lasciato alla superstizione e al fanatismo . La stessa cristologia viene da Kant ricondotta rigorosamente entro "i limiti della semplice ragione" . Cristo assume un valore esemplare per l' uomo non perchè egli si presenti come un essere soprannaturale (ad esempio attraverso i miracoli) , ma perchè la sua condotta corrisponde all' ideale razionale dell' uomo moralmente gradito a Dio . Analogicamente il cristianesimo è la migliore delle religioni poiché in esso il contenuto rivelativo e scritturale non è contrario a una fede puramente razionale , ma ne promuove anzi la realizzazione .





IL GIUDIZIO RIFLETTENTE E IL BELLO
Il giudizio sintetico a priori illustrato nella Analitica della ragion pura è un giudizio determinante , in quanto per mezzo delle forme a priori dell' intelletto "determina" il proprio oggetto come tale . Nella Critica del giudizio al giudizio determinante viene contrapposto il giudizio riflettente , il quale non costituisce teoreticamente il proprio oggetto attraverso la sussunzione del molteplice empirico sotto l' unità delle categorie dell' intelletto , ma si limita a interpretare gli oggetti naturali in base al principio della finalità . Tale principio non ha valore conoscitivo (in quanto la finalità non è una categoria dell' intelletto) , ma presenta comunque un carattere universale, poiché risponde a un' esigenza presente a priori nel soggetto trascendentale . Il giudizio riflettente assume una duplice forma , a seconda del modo in cui viene applicato il princìpio della finalità . Se quest' ultimo viene riferito al rapporto tra il soggetto e la rappresentazione dell' oggetto , in modo da provare il sentimento dell' accordo tra di essi , si ha il giudizio estetico Se esso viene invece ricondotto ai rapporti interni all' oggetto in modo da cogliere l' ordine finale che vige all' interno della natura , si dà il giudizio teleologico . Nel giudizio estetico il sentimento della finalità scaturisce da un "libero gioco delle facoltà" , ovvero dall' accordo spontaneo tra l' immaginazione e l' intelletto . La prima fornisce l' elemento sensibile , non però come esso viene originariamente dato dalla sensibilità , bensì liberamente interpretato secondo "progetti" dell' immaginazione stessa . Malgrado ciò l' intelletto ritrova nell' attività immaginativa una sorta di regolarità che gli consente di rinvenire in essa , un "libero gioco" , cioè al di fuori delle leggi della sintesi a priori , un accordo con i propri concetti. Su questo accordo dell' immaginazione con l' intelletto si fonda il giudizio di gusto , che ha per oggetto la definizione del bello . In questo modo il soggetto percepisce infatti nell' oggetto bello un' armonia interna che consente di considerarlo come un fine in se stesso , non subordinato ad alcuno scopo estrinseco : la bellezza è la forma della finalità di un oggetto , in quanto questa vi è percepita senza la rappresentazione di uno scopo . A sua volta , la coscienza di tale finalità produce nel soggetto un piacere che , diversamente da quello sensibile , non deriva dal godimento fisico dell' oggetto , ma esclusivamente dalla rappresentazione di esso : il bello è dunque anche "ciò che piace senza interesse" . Inoltre , l' accordo tra le facoltà nonché il piacere che ne consegue , è colto per mezzo di un "senso comune" che , pur non rivestendo forma concettuale e non avendo valore conoscitivo , deve valere per tutti i soggetti forniti di gusto: il bello può quindi anche essere definito come "ciò che piace universalmente senza concetto" . In base a queste definizioni si evince che il bello è distinto sia dall' utile (legato a uno scopo) , sia dal gradevole (connesso con il godimento materiale dell' oggetto) , sia dal vero (esprimentesi nella conoscenza concettuale) . Pur avendo una certa affinità con la vita morale , perchè chi ha interesse per la bellezza della natura può farlo solo in quanto ha già fermamente fondato il suo interesse sul bene morale , il bello è anche distinto dal buono, perchè , essendo privo di interesse , non vuole categoricamente , come avviene con i comandi della ragione , la realizzazione del proprio oggetto. Riprendendo una tendenza già delineatasi nell' illuminismo e destinata a rafforzarsi con il romanticismo, Kant afferma dunque la completa autonomia del bello rispetto a ogni altro genere di valori . Accanto al bello, il giudizio estetico ha per oggetto il sublime . Quest' ultimo nasce dal duplice sentimento che l' uomo prova confrontandosi con la grandezza (sublime matematico) e con la potenza (sublime dinamico) della natura . Di fronte a quest' esperienza estetica , infatti l' uomo prova , da un lato , un sentimento di dispiacere per la constatazione dei propri limiti e della propria impotenza ; dall' altro , un sentimento di piacere , derivante dalla consapevolezza che , malgrado ciò , la sua finalità razionale e morale gli conferisce un valore e una dignità che lo collocano al di sopra di ogni grandezza e potenza naturale: Kant riprende le teorie esposte nel 1600 daPascal, che aveva paragonato gli uomini a giunchi pensanti esposti al vento; Kant per spiegare il concetto di sublime ricorre all' immagine del mare in tempesta : vedendolo l' uomo non può che provare un sentimento positivo, attratto da quello spettacolo , ma , allo stesso tempo , é inevitabile che egli si senta misero e impotente di fronte alla natura e proprio da questo riconoscere i propri limiti deriva la superiorità dell' uomo su ogni altra creatura . La finalità , che nel giudizio estetico è colta in modo immediato , sotto forma di sentimento , nel giudizio teleologico trova invece espressione concettuale : il concetto di fine che qui interviene non è tuttavia un concetto dell' intelletto (cioè una categoria) , bensì della ragione. Kant avverte infatti che le categorie dell' intelletto , se sono indispensabili per la costruzione di una scienza fisica che connetta i fenomeni naturali secondo leggi universali e necessarie, non sono invece sufficienti a spiegare l' esistenza del più semplice organismo naturale . La vita di un verme o la crescita di un filo d' erba non potrà mai essere spiegata , sul piano del giudizio determinante , per mezzo della causalità meccanica , ma potrà essere compresa soltanto , sul piano del giudizio riflettente , facendo ricorso al concetto razionale di finalità interna. L' organismo non è un semplice composto meccanico risultante della giustapposizione di parti a se stanti , ma è una totalità inscindibile dagli organi che la compongono : in esso si assiste a un' interazione reciproca tra parti e tutto che obbedisce a un principio interno irriducibile ad alcuna spiegazione meccanicistico-causale . Dal singolo organismo il concetto di fine può inoltre essere esteso per analogia alla totalità della natura , che si configura allora come un sistema secondo la regola dei fini , vale a dire come unico organismo universale in cui tutto è subordinato a uno scopo finale . L' uomo , in quanto soggetto morale fornito di un' essenza noumenica che va al di là della natura stessa , può essere identificato con questo scopo finale : per mezzo del giudizio teleologico egli si può quindi rappresentare in modo naturale in modo che esso non ostacoli , bensì favorisca, la realizzazione della moralità . Inoltre , la teleologia, oltreché confortare l' uomo nelle sue convinzioni etiche , funge da propedeutica per una fondazione morale della teologia: infatti , il principio della finalità dell' intero sistema naturale si fonda sull' ipotesi di una suprema causa intelligente del mondo , cioè di un Dio che abbia prodotto la natura in vista del suo scopo finale: per mezzo del giudizio teleologico egli si può quindi rappresentare il mondo naturale in modo che esso non ostacoli , bensì favorisca , la realizzazione della moralità . Inoltre , la teleologia, oltreché confortare l' uomo nelle sue convinzioni etiche , funge da propedeutica per una fondazione morale della teologia : infatti , il principio della finalità dell' intero sistema naturale si fonda sull' ipotesi di una suprema causa intelligente del mondo , ossia di un Dio che abbia prodotto la natura in vista del suo scopo finale. Kant insiste nel chiarire che il fine , su cui si fonda il giudizio teleologico , non é una categoria intellettuale , ma un concetto della ragione : di conseguenza le rappresentazioni attuate per suo mezzo non hanno valore conoscitivo. Noi possiamo agire come se esistesse una causa intelligente del mondo , ma non possiamo affermare che essa esista . Da un punto di vista conoscitivo il ricorso alla finalità ha soltanto un valore euristico , cioè può aiutare a far progredire la ricerca scoprendo anche nuovi nessi meccanico-causali , i soli che abbiano validità teoretica . La stessa comprensione teleologica dell' organismo vivente , pur essendo la sola possibile , non estende minimamente la conoscenza teoretica , per la quale un filo d' erba rimane un enigma . Ciononostante Kant si allontana dal meccanicismo cartesiano, che pretendeva di spiegare anche l' organismo in termini di determinismo causale e , recuperando alcuni aspetti dell' energetismo leibniziano, prepara la strada alle concezioni organicistiche e vitalistiche della natura che fioriranno nella cultura romantica e idealista .



LA CONCEZIONE STORICA E POLITICA
Nella Risposta alla domanda: che cosa è l'illuminismo? ( 1784 ) Kant scriveva che l' illuminismo é l' uscita dell' uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità é l' incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi é questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! - é dunque il motto dell' illuminismo. Il dovere dell' uomo di sviluppare completamente le proprie facoltà razionali ritorna in uno scritto dello stesso anno intitolato l' Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico , che rappresenta la più organica esposizione della filosofia kantiana della storia . Dalla natura l' uomo ha ricevuto disposizioni dirette all' uso della ragione che attendono di essere esplicate in tutte le loro possibilità. Attraverso il succedersi delle generazioni la specie realizza progressivamente la sua destinazione razionale , ovvero la cultura, utilizzando come strumento storico l' antagonismo sociale che contrappone gli individui e li induce a sviluppare i loro talenti in una competizione vicendevole : credendo di perseguire i propri interessi soggettivi , gli uomini realizzano così a poco a poco il disegno di una forza storica impersonale , la Natura - Provvidenza . Per essere storicamente fecondo , tuttavia , l' antagonismo deve svilupparsi nel contesto di istituzioni politiche che impediscano una sua degenerazione in vera e propria guerra e lo rendano compatibile con il diritto , definito nella Metafisica dei costumi come l' insieme delle condizioni per mezzo delle quali l' arbitrio dell' uno può accordarsi con l' arbitrio dell' altro secondo una legge universale della libertà . Diritto e cultura , intesa come esplicazione della ragione umana , procedono dunque di pari passi nel corso della storia . La prima tappa storica nel processo di realizzazione del diritto é il passaggio dallo stato di natura , che Kant connota hobbesianamente come stato di guerra di ciascuno contro tutti gli altri , alla società civile . Ma lo Stato potrà realizzare pienamente il diritto solamente quando assumerà la forma di governo repubblicana , nella quale il sovrano esercita il potere in esclusivo ossequio della legge , ovvero in piena conformità con la volontà popolare da cui la legge deve emanare . I connotati politici della costituzione repubblicana sono il carattere rappresentativo e la divisione dei poteri già propugnata daMontesquieu. Una piena realizzazione del diritto comporta tuttavia una sua estensione dall' ambito statale a quello internazionale . Nel progetto Per la pace perpetua ( 1795 ) , Kant auspica pertanto la costituzione di una federazione degli Stati per la pace , la quale deve respingere per sempre la guerra come strumento per dirimere i conflitti internazionali e sottoporre le future vertenze tra i consociati all' arbitrato di un Parlamento comune . Nella Francia rivoluzionaria (per la quale Kant nutre forti simpatie) , che si é ispirata al modello della costituzione repubblicana , Kant vede , inizialmente il primo nucleo attorno al quale potrà progressivamente aggregarsi una federazione di quel genere . Successivamente la sua fiducia in una pronta realizzazione del progetto di pace perpetua si attenua , ma esso rimane comunque un ideale cui l' umanità deve tendere sempre , dal momento che il rifiuto della guerra e l' instaurazione del diritto sono imperativi categorici della ragione pratica. Kant è convinto che in fondo i sovrani hanno sempre fatto le guerre come varianti dello sport della caccia, senza rimetterci molto; se si vuole davvero ottenere una pace perpetua, è necessario che a scegliere se fare la guerra o meno sia chi ne paga le conseguenze, ovvero il popolo: se spettasse ad esso la decisione, non vi sarebbero mai guerre, sostiene Kant, il quale non ha però vissuto le guerre del '900 appoggiate dal consenso popolare. Kant si colloca perfettamente nel quadro generale delle teorie pacifiste del 1700 , l'età dei "lumi della ragione", che si contraddistinguono appunto anche per il tentativo di delineare un assetto internazionale che escluda per sempre la guerra . Tuttavia in Kant il pacifismo non é più solamente un' esigenza politica e sociale , ma rappresenta un comando categorico della ragiona pratica . La pace esprime un dover essere , che conserva intatta tutta la sua validità anche quando non riuscisse mai a realizzarsi nell' essere . Dunque non si tratta di sapere se la pace perpetua sia una cosa reale o no , e se noi non ci inganniamo nel nostro giudizio quando accettiamo il primo caso : ma dobbiamo agire come se essa fosse una cosa reale , anche se non é così . Il valore della pace come criterio costitutivo e esplicativo del destino storico e politico dell'umanità è il segno è caratteristico del progresso umano. La guerra è una terribile calamità che opprime la umanità e che tiene lontana la pace e la felicità pubblica. Kant afferma che la logica della guerra non può essere continua, e che essa distrugge più di quanto crei, ed è una sconfitta anche per chi vince. E' insomma un male poiché impiega le risorse economiche per impieghi non certo proficui e inoltre le spese militari, che deformano la vita sociale,, fanno apparire la guerra come la soluzione più vantaggiosa per risolvere i gravami imposti dalla corsa agli armamenti. Secondo Kant l'umanità dovrebbe aprirsi a una visione cosmopolitica radunarsi in una federazione, uniti da una forza comune per raggiungere gli interessi comuni secondo la legge del valore comune. Le varie nazioni raggruppatesi, devono trovare un equilibrio delle loro azioni e reazioni reciproche per evitarne la distruzione. La socialità è permanente nell'uomo. E' da vedere in una realtà coesistenziale. Kant si oppone alle idee di Hobbes, il quale diceva che la socialità è il prodotto della volontà del potere, che costringe gli uomini a quei vincoli sociali che non darebbero in grado di formare neanche con mediazioni collettive. Secondo Kant la socialità dell'uomo non è pura e non è fondata sull'affidamento immediato degli uni verso gli altri ma è composta da attrazione e diffidenza, avvicinamento e distacco. Questa viene chiamata da Kant la insocievole socievolezza cioè intesa come la tendenza degli uomini ad unirsi (socievole), collegata alla contraria tendenza alla divisione, alla ostilità (insocievole). Essa ammette contrasti, situazioni di diffidenza e di tensione poiché la socialità è un esperienza aperta. Elemento importante della socialità è l'antagonismo che è indispensabile per il progresso della vita sociale e quindi considerato come garanzia di incivilimento. E' necessario l'antagonismo poiché senza di esso non ci sarebbero confronti e contrasti tra gli uomini e si rischierebbe di accettare tutto ciò che l'autorità fa e sceglie per tutti. Altra componente fondamentale della socialità è il pluralismo che viene opposto, da Kant , all'egoismo. Il pluralismo è quel modo di pensare basato sul non ricondurre tutto il mondo a noi stessi, ma nel comportarci come cittadini del mondo. Secondo la logica de pluralismo gli uomini non sono visti come individui a sé, ma come esseri umani che nel loro originale valore sono solidali a latri perché hanno entrambi lo stesso destino. Secondo Kant l'umanità, come esprime nel famoso imperativo, deve essere trattata da ognuno sempre come fine e mai come mezzo poiché bisogna rispettare il valore di ogni individuo che è supremo dovere dell'agire umano. Anche le forme solidaristiche di socialità che hanno il potere di suscitare nell'uomo uno spirito benefico e rigeneratore, hanno un limite. Infatti le unioni sociali molte intense possono rischiare di rompersi e dividersi e ciò può portare a contrasti tra le varie comunità. Il diritto è l'insieme delle condizioni con le quali l'arbitrio (volontà) dell'uno si accorda con l'arbitrio degli altri, secondo la legge della libertà. Le regole che lo compongono devono essere corrette (irreprensibili) rispetto a questo fine garantistico del diritto. Il valore del diritto è basato sul principio a priori di libertà, eguaglianza e indipendenza. La libertà, principale segno distintivo dell'uomo, è il contrario della costrizione. Kant distingue due tipi di autorità:
- governo paterno: il governo vuole distribuire senza controlli, risorse e vantaggi della vita sociale secondo misure di giustizia.
-governo patriottico: gli individui si sentono membri di una stessa comunità e trasformano il loro status politico da quello di sudditi (subordinati) a quello di cittadini.
La patria per Kant , è il luogo dove si sperimenta la libertà degli individui. Principio ispiratore del diritto è l'uguaglianza, intesa come uguale trattamento degli individui da parte di regole giuridiche rivolte ai cittadini senza tener conto della classe sociale alla quale ogni individuo appartiene. Kant sostiene che per qualificare la figura del cittadino è necessaria l'Indipendenza cioè il fatto che egli sia padrone di sé e abbia una qualche proprietà . Solo chi non è dipendente da un potere esterno, è capace a dare un libero giudizio su qualcosa e abilitato alla pienezza dei diritti di cittadinanza. Kant sostenendo queste idee di libertà e indipendenza tende a favorire il mondo dell'esistente cioè dell'indipendenza nel lavoro e nella creatività rispetto al mondo dell'inerente dove il soggetto è incluso in una realtà non sua e dalla quale dipende. Lo stato del diritto di Kant considera un modello repubblicano. Kant è fautore di un costituzionalismo fondato sul sistema della rappresentanza. Lo stato di diritto si propone di garantire la coesistenza delle libertà dei cittadini ma questo principio deve essere conciliato con il principio di universalità che Kant dà alla politica e al diritto. Egli sostiene che di buono veramente c'è solo la volontà buona che assume la legge morale per esercitare in modo razionale la libertà. Kant afferma attraverso il primo imperativo categorico che la mia azione è morale nella misura in cui la mia massima soggettiva può diventare legge, cioè acquisire i caratteri dell'universalità e necessità. Inoltre gli uomini si devono comportare come se fossero ognuno legislatore per tutti. Il pensiero politico di Kant è l'opposto di quello di Machiavelli. Infatti secondo Kant l'onestà è migliore di ogni politica (Machiavelli diceva il fine giustifica il mezzo). L'universalismo di Kant pone l'esigenza di un formalismo critico inteso come condizione e strumento di ricerca del bene. L'imperativo categorico non prescrive il contenuto perfetto dell'azione. Si deve quindi ricercare questo bene attraverso ripetuti sforzi dove tutti gli individui sono protagonisti. L' universalismo di Kant non è distruzione del particolare, eliminazione della pluralità ma è la tensione ideale che cerca in ogni determinazione del pensare e dell'agire la valorizzazione della volontà buona.