venerdì 21 settembre 2007

SEMIOTICA: PEIRCE

Charles Sanders Peirce: semiotica e conoscenza

Benché sia uno dei più grandi filosofi americani, Peirce in vita non pubblicò nemmeno un libro. Pubblicò solo articoli apparsi su giornali e riviste e molti dei suoi scritti rimasero inediti fino a dopo la sua morte.
La prima edizione di tutti i suoi scritti sono i Collected Papers pubblicati tra il 1931 e il 1958 dall’Università di Harvard: tutte le citazioni appresso riportate sono tratte da quest’opera e sono indicate con C.P., il numero di volume, un punto e il numero di paragrafo. Dal 1982 sono in pubblicazione i Writings of Charles Sanders Peirce. A chronological edition, a cura del Peirce Edition Project, presso l’Università dell’Indiana.
Charles Sanders Peirce (1839–1914) è con De Saussure uno dei padri della «semiotica» moderna.
Ma Peirce è anche il fondatore del «pragmatismo», a cui cambierà poi il nome in «pragmaticismo» per differenziarsi da William James. Infatti Peirce rimproverava James di aver impoverito il pragmatismo attraverso l’esclusione del suo fondamento logico–semiotico, che per Peirce è parte integrante di una teoria della conoscenza.
Il concetto di conoscenza di Peirce: non esiste una conoscenza che non sia segnica. Il segno è sempre frutto di una mediazione interpretativa inferenziale.
Per Peirce solo ciò che è pensabile è reale: il pensiero non può essere altro che pensiero di segni e il concetto di essere è appunto un concetto che diviene attribuibile solo attraverso una relazione inferenziale, in quanto i segni sono essi stessi prodotto dell’attività inferenziale. Questa posizione è da Peirce chiamata Realtà Logica.
Quindi il concetto di essere, in assoluto, sciolto cioè dalle relazioni segniche, non ha contenuto, né significato e neppure senso, come del resto qualunque altro concetto.
L’essere di un segno insomma è proprio il suo sviluppo semiosico, il suo essere in relazione con gli altri segni. Non esiste al di fuori della semiosi altro modo di concepire la realtà
Si può conoscere, e quindi si considera reale, solo una relazione segnica e non un supposto oggetto assoluto, in sé irrelato.
Ma perché per Peirce il pensiero è solo pensiero di segni?
Peirce rifiuta l’intuizione. Col termine “intuizione” si indica
Una cognizione non determinata da una cognizione precedente dello stesso oggetto, e perciò determinata da qualcosa fuori dalla coscienza. [...] Intuizione sarà qui quasi la stessa cosa che «premessa, che non è a sua volta conclusione». [...] Proprio come una conclusione (giusta o sbagliata) è determinata nella mente di chi ragiona dalla sua premessa, cosi anche cognizioni che non sono giudizi possono essere determinate da cognizioni precedenti; e una cognizione non determinata in questo modo, e quindi determinata direttamente dall’oggetto trascendentale, dovrà essere chiamata una «intuizione». (C.P. 5.213)
Nel saggio “Questions Concerning Certain Faculties Claimed for Man” pubblicato sul Journal of Speculative Philosophy nel 1868 (C.P. 5.213 – 263) Peirce, dimostra che sia la conoscenza del mondo esterno al soggetto sia quella del mondo interiore del soggetto, come la propria autocoscienza e la conoscenza dei propri moti interiori, dipendono da mediazioni inferenziali di fatti esterni. Egli ritiene che tutta la nostra conoscenza della mente e dei processi mentali - della nostra mente e di quella degli altri - deriva dalla conoscenza di certi fatti fisici “esterni”.
Non esiste per Peirce un termine primo, una causa prima, un fondamento su cui si basa la conoscenza. Essa è un processo autoalimentantesi: il pensiero è una serie continua ed infinita di termini. In questo orizzonte, conoscere è inteso come dare significato ad un evento, applicando ad esso regole e criteri di classificazione appresi precedentemente. Non esiste un punto di partenza, nel modello della conoscenza peirciana, ma per ogni singolo individuo, la nascita è l’inizio del suo processo mentale di conoscenza, con l’ingresso nella Realtà Logica, costituita dall’insieme di segni in uso alla comunità degli interpretanti, di cui l’individuo viene a fare parte.
Si è detto sopra che il segno, e quindi la conoscenza, è il risultato di un processo inferenziale. Si analizzerà ora quali sono le tipologie di inferenza attraverso cui si costruisce la conoscenza:
Peirce distingue tre specie di inferenza: Deduzione, Induzione ed Abduzione. Non sono però riducibili l’una all’altra, perché sono governate da diversi principi logici, ma tuttavia appartenenti ad un unico genere.
L’abduzione è un’ipotesi probabile che si formula della causa di un effetto osservato.
L’induzione fornisce, con la scelta corretta dei campioni, regole per formulare notizie corrette su essi, fino a prova contraria.
La deduzione rimane analitica, ma l’analisi dipende ora dalle ipotesi scelte, per cui non è rigidamente necessaria.
L’esempio classico dato dallo stesso Peirce, in C.P. 2.623, delle tre inferenze è questo:









1. 1. DEDUZIONE:
Regola: Tutti i fagioli che provengono da questo sacco sono bianchi.


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Caso: Questi fagioli provengono da questo sacco.


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Risultato: Questi fagioli sono bianchi.


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2. 2. INDUZIONE:


Caso: Questi fagioli provengono da questo sacco.


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Risultato: Questi fagioli sono bianchi.


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Regola: Tutti i fagioli che provengono da questo sacco sono bianchi (fino a prova contraria)


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3. 3. ABDUZIONE:Risultato:Questi fagioli sono bianchi.


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Regola: Tutti i fagioli che provengono da questo sacco sono bianchi.


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Caso: Questi fagioli provengono da questo sacco (probabilmente)


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Questi tre tipi di inferenza sono ciò che crea relazione tra i pensieri–segni, permettendo lo sviluppo del processo semiosico e quindi della conoscenza.
L’Abduzione o Ipotesi permette di ipotizzare quindi una regola che dia spiegazione di un evento o di un fatto. Essa
Procede come se si conoscessero tutti i caratteri richiesti per la determinazione di un dato oggetto o di una data classe. C.P. 5.272
In pratica, osservati alcuni caratteri di un dato oggetto, gli si attribuiscono ipoteticamente ulteriori caratteri che lo fanno riconoscere come occorrenza di una legge.
Questo modo di procedere implica la possibile fallibilità della conoscenza, ma anche che i ragionamenti fallaci si adeguano alla forma dell’inferenza valida.
Se consideriamo il pensiero in sé, irrelato, non facciamo altro che prendere in considerazione la sua peculiare qualità che lo distingue da tutti gli altri pensieri precedenti e successivi e che scomparirà irrimediabilmente con lo scomparire di quello specifico pensiero. Questa qualità, essendo qualcosa di unico ed irripetibile, non è in sé e per sé esprimibile come caso di una regola più generale e quindi risulterà inesprimibile.
La virtualità del significato di un pensiero è relativa alla sua idea di semiosi; infatti un pensiero segno ha una sua vita, un suo sviluppo che altro non è che il percorso della costruzione della conoscenza; questo processo ha uno sviluppo certo intersoggettivo, ma anche intrasoggettivo. Infattti:
Non vi è […] cognizione che non sia determinata da cognizioni precedenti [quindi] l’irruzione di una nuova esperienza non è mai un fatto istantaneo, ma è un evento che occupa del tempo e che passa attraverso un processo continuo. Perciò il suo emergere nella coscienza deve probabilmente essere il coronamento di un processo di crescita. [invece] se un filo di pensiero si spegne gradualmente, con ciò nella sua durata segue liberamente la propria legge di associazione e non vi è nessun momento in cui, a un pensiero appartenente a questo filo, non succeda un pensiero che lo interpreti o lo ripeta. (C.P. 5.284)
Tutta la conoscenza per Peirce è dunque conoscenza di segni; a partire dalla sensazione, non esiste altra modalità conoscitiva che quella inferenziale. E’ attraverso serie intersecantesi di inferenze che gradualmente si sviluppa in maniera sempre più precisa l’interpretante di un segno.
Peirce così definisce un segno:
[qualcosa che] sta per qualcuno al posto di qualcos’altro sotto certi aspetti o capacità (C.P. 2.228)
Questa definizione sottolinea il rapporto triadico tra il segno, l’oggetto che questo segno sta ad indicare e la concezione che ne ha colui che interpreta, detta interpretante.
Questo rapporto triadico è così schematizzabile:



























































Possiamo però prendere in considerazione almeno due tipi di oggetti: 1. la cosa bruta, la cui presenza hic et nunc scatena la semiosi, che è L’Oggetto Immediato; 2. la relazione segnica da cui parte l’elaborazione cognitiva, che è l’Oggetto Dinamico.
La conoscenza si sviluppa a partire dall’oggetto immediato che non sarà mai toccato dal processo inferenziale, ma che ne è la molla che ne provoca l’inizio. L’oggetto reale del segno, che è comunque segno a sua volta perché non possiamo pensare altro che segni, è l’oggetto dinamico. Questo si trasformerà nella concezione della comunità degli interpretanti man mano che il suo interpretante logico acquisterà sempre maggiori e nuovi significati grazie al processo di semiosi che è poi il processo stesso della conoscenza
Ma perché conoscere?
Charles Sanders Peirce è il fondatore del Pragmatismo. Egli elabora questa massima pragmatica:
Consideriamo quali effetti, che possano avere concepibilmente conseguenze pratiche, pensiamo abbia l’oggetto della nostra concezione. Allora la nostra concezione di questi effetti è l’intera nostra concezione dell’oggetto. (C.P. 5.2)
Lo sviluppo semiosico di un segno lo porta ad avere come Interpretante Logico Finale un abito di comportamento. Questo è una legge che permette di regolare il comportamento, appunto, in base alle concepibili conseguenze pratiche determinate dagli effetti che nell’inferire si attribuiscono all’oggetto-segno.
Ad esempio è possibile fare una torta di mele perché le concepibili conseguenze pratiche degli effetti del segno-ricetta sono proprio la realizzazione di quel dolce. La prova di tutto questo è l’induzione sperimentale, cioè la realizzazione della torta di mele. Il segno-ricetta è così il segno dell’idea di torta, che è una legge. La torta ottenuta sperimentalmente è così un’occorrenza di quella legge.
Ovvero, se a parità di conoscenze e di condizioni di attrezzature sperimentali, la ripetizione di un esperimento porterà i medesimi risultati, la legge ipotizzata come quella regolante l’esperimento è considerata certa dalla Comunità degli Interpretanti. Questa comunità è il garante intersoggettivo di una nozione di verità non intuitiva, non ingenuamente realistica, bensì congetturale.
Questa concezione dinamica della verità permette l’elaborazione di strategie comportamentali creative in risposta agli stimoli dell’ambiente ed è portatrice di una concezione non teleologica e non necessaria del mondo e del destino umano.

Tornando alla concezione del segno, Peirce e de Saussure propongono due concezioni del segno - o meglio del rapporto di significazione - abbastanza differenti. Questo non significa che le due visioni siano mutuamente esclusive e non integrabili. Secondo de Saussure il segno è costituito dal rapporto tra un significante - inteso come l'immagine acustica del suono che verrà poi materialmente prodotto - e un significato - il concetto di ciò a cui si vuole rinviare. Il segno di Saussure è quindi diadico, vede in gioco due elementi.
La definizione di relazione segnica o semiosi di Peirce avviene invece tra tre elementi: un Representamen, la parte materiale del segno; un Oggetto, il referente a cui il segno fa riferimento; e un Interpretante, ciò che deriva o viene generato dal segno. Il punto di partenza della semiosi di Peirce è nella realtà esterna, dove in Saussure il Referente aveva invece un ruolo solo accessorio nel definire la relazione tra il significante e il significato. L'Oggetto quale è nella realtà viene definito da Peirce Oggetto dinamico. A partire dall'oggetto dinamico si definisce quello che Peirce chiama l'Oggetto Immediato che sembra corrispondere al significato di Saussure. Infatti l'oggetto immediato nasce dal 'ritagliare' o dal mettere in rilievo alcune delle caratteristiche dell'oggetto dinamico, quindi dell'oggetto reale. Questo vuole dire che l'oggetto immediato ci dà dell'oggetto dinamico solo una prospettiva tra le tante possibili; nel segno quindi il representamen (significante) ritaglia o identifica attraverso l'oggetto immediato (significato) un particolare punto di vista sull'oggetto dinamico (referente). L'aspetto più interessante del processo di semiosi come è stato pensato da Peirce consiste nel concetto di interpretante. L'interpretante di Peirce è infatti un ulteriore segno che sorge dal rapporto tra il representamen e l'oggetto immediato; come dire che un segno genera un altro segno attraverso un processo di interpretazione. Tale processo di generazione di un interprentante da un segno, e poi di un altro segno-interpretante successivo e così via, identifica un processo potenzialmente interminabile detto di semiosi illimitata. Quindi il concetto di segno o della semiosi in Peirce è triadico.
La nozione di interpretazione è centrale nella prospettiva filosofica di Peirce e della sua concezione del pragmatismo Peirce ritiene in sintesi che il processo cognitivo fondamentale nell'uomo sia il costante passaggio dalla condizione del dubbio a quello della credenza; o meglio, Peirce ritiene che il nostro rapporto con il mondo sia dettato dalla continua produzione di ipotesi riguardo al modo in cui possiamo superare una condizione di incertezza, o di dubbio cognitivo, e quindi riposare la nostra mente nella sicurezza della credenza. La credenza o "abitudine" (habit in inglese) può essere assimilata ad un modello mentale, uno stereotipo o una concezione culturale stabilita, che ci permette di affrontare la realtà con un determinato successo. Quindi fondamentale per Peirce è la nostra capacità di produrre ipotesi o abduzioni riguardo al modo in cui vanno, o si ritiene debbano andare, le cose. Questa centralità delle modalità di pensiero per ipotesi deriva a Peirce dalla sua formazione scientifica. Infatti è la stessa logica del pensiero scientifico che prevede un costante e continuo processo di revisione e messa in discussione delle ipotesi di partenza di una teoria (il cosiddetto falsificazionismo di Karl Popper).





La semiotica interpretativa

La prospettiva della semiotica estetologica o interpretativa di Umberto Eco muove proprio dalla centralità del concetto di interpretazione messo in gioco da Peirce. Il lavoro di Eco muove in due direzioni: ridefinizione teorica ed epistemologica(conoscenza scientifica epistemologia) della semiotica; analisi della cultura e dei testi con particolare riferimento alla loro ricezione. Eco è stato tra i primi critici della prospettiva strutturale 'ortodossa', mettendo in discussione il fatto che un testo manifesti strutture significative di per sé, indipendentemente dalle letture che di esso si possano dare. Attaccherà dunque l'idea levi-straussiana di considerare le 'strutture' che danno valore ai testi come entità realmente esistenti (strutturalismo ontologico), per attribuire ad esse valore euristico e sempre provvisorio. Ha poi concretizzato le sue ricerche nella definizione di un paradigma teorico unificato per la semiotica nel Trattato di semiotica generale (1975). Ha così tentato l'innesto nella tradizione strutturalista (antipsicologista, non referenzialista) delle idee peirciane (generalità della nozione di segno, realismo semiotico). Ha insistito con l'analisi delle teorie semio-linguistiche giungendo alle fondamentali asserzioni sui limiti delle rappresentazioni semantiche. Oggi indaga le relazioni tra semiotica e ricerche cognitive, recuperando molti problemi degli anni '70 e '80 (iconismo, percezione e significato) e ponendoli in una luce nuova più attenta agli sviluppi contemporanei della psicologia cognitivista.
Fondamentale in Eco è quindi il problema dell'interpretazione (il che lega le sue riflessioni alla prospettiva più generale dell’ermeneutica). Eco muove dall'idea che l'analisi delle strutture del testo coincida con la ricerca delle sue potenziali strategie interpretative. Eco definisce il testo "una macchina pigra" in quanto ritiene che il senso di un testo sia determinato solo in parte dalle strutture o dai percorsi di senso potenziali costruiti dall'emittente, ma che un ruolo fondamentale venga svolto dal fruitore del testo senza il cui intervento il senso resterebbe lettera muta. Quindi la costruzione del senso di un testo si gioca nel processo dialettico che si attiva tra le strutture retorico-testuali e le strategie di interpretazione del lettore (principio della cooperazione interpretativa nei testi narrativi, v. Lector in fabula). Legata alla questione dell'interpretazione testuale - una delle questioni centrali del lavoro di Eco - è quella della individuazione dei limiti dell'interpretazione medesima. Fin dal 1962 - in una fase pre-semiotica della sua ricerca - Eco si era occupato della questione della interpretazione dei testi; in Opera aperta veniva infatti elaborata un’estetica della ricezione testuale, in cui il ruolo del lettore era fortemente attivo e creativo nei confronti della definizione del senso del testo. In seguito Eco ha notevolmente ristretto la libertà del lettore o fruitore del testo, prima con la teoria già citata della cooperazione interpretativa tra testo e lettore, poi con una vera e propria definizione dei limiti dell'interpretazione. In sostanza, secondo Eco, si può definire propriamente interpretazione di un testo solo quella lettura che sia giustificata e comprovata dalle strutture testuali medesime; ogni lettura del testo che vada oltre tale giustificazione testuale dovrà essere definita un uso del testo medesimo e non avrà l'obbligo di essere coerente con il testo da cui deriva.
Altra questione centrale nella ricerca di Eco è il problema del significato. In sostanza Eco ha proposto un modello semantico a istruzioni in formato di enciclopedia. La metafora dell'enciclopedia serve ad Eco per evidenziare la differente struttura interna del modello di sapere da lui utilizzata che si definisce come una rete di unità culturali tra loro interconnesse. Il modello ad enciclopedia viene contrapposto a più rigidi modelli semantici a dizionario in cui ogni significato è semplicemente definito da una serie di unità minime tra loro interdefinite e autosufficienti (semantica strutturale). Ma il funzionamento del processo cognitivo che porta all'identificazione del significato è molto più aperta ed è legata all'attivazione di porzioni del sapere culturale complessivo in ragione delle esigenze contestuali. Il significato è infatti determinato dall'uso di concetti legati alla nostra generale esperienza o conoscenza del mondo, a stereotipi e strutture culturalmente predefinite che abbiamo appreso nel tempo e/o da altri testi (competenza intertestuale). La nozione di enciclopedia è quindi un postulato semiotico o ipotesi regolativa che non può essere descritta nella sua totalità, ma che può rendere ragione dei meccanismi di costruzione e negoziazione del senso nei diversi contesti comunicativi. Su questa concezione si basa anche la più recente produzione di Eco. In Kant e l'ornitorinco Eco cerca di individuare i processi cognitivi che stanno alle spalle della negoziazione culturale del senso. Secondo Eco posti di fronte ad un nuovo fenomeno, attraverso un meccanismo di inferenza percettiva, noi ci costruiamo dei tipi cognitivi - "privati" o individuali -, mentre sul piano dell'accordo comunicativo, quindi sul versante intersoggettivo e culturale, ci troviamo di fronte alla elaborazione di quello che Eco chiama contenuto nucleare, costituito dall'insieme delle diverse interpretazioni e concezioni dell'oggetto in uso. A queste competenze si può poi aggiungere una conoscenza più specifica e "professionale" propria solo di alcuni soggetti che Eco chiama contenuto molare.