mercoledì 22 ottobre 2008

SINTESI DI STORIA DAL 1848 AL '900

le cause delle rivoluzioni del 1848


Le contraddizioni economiche e sociali scoppiarono prima che altrove in Francia, dove si registrarono due cattivi raccolti ed una crisi generale dell'industria e del commercio che provocarono fame e disoccupazione. Il regno di Luigi Filippo si era basato su un precario equilibrio tra vecchie classi aristocratiche, grandi magnati della finanza e borghesia industriale. Questo equilibrio, grazie ai ministri Thiers e Guizot, si mantenne finché durò la prosperità economica. Con la crisi tale sistema non fu più valido mentre si allargava il consenso attorno alle proposte liberali di allargamento del suffragio.
La repressione scatenata dal governo contro una manifestazione liberale fece esplodere la situazione: era la rivoluzione. Il re venne cacciato e si formò un governo provvisorio nel quale la presenza di una forte componente socialista determinò la formazione di un programma molto avanzato sul piano sociale:
1) venne introdotto il SUFFRAGIO UNIVERSALE maschile;
2) fu eliminata la pena di morte per reati politici;
3) fu abolita la schiavitù delle colonie;
4) fu fissata in 10 ore la giornata lavorativa;
5) fu garantito il diritto al lavoro. In tal senso furono istituiti gli ATELIERS NATIONAUX, cioè fabbriche cooperative di proprietà dello Stato, come aveva teorizzato Louis Blanc.
La rivoluzione parigina del 23 febbraio 1848 fu possibile grazie all'alleanza tra borghesia industriale e classe lavoratrice, alleanza destinata a durare poco dal momento che la borghesia voleva conquistare il potere politico.
La rivoluzione dilagò a macchia d'olio nelle capitali europee: Vienna, Budapest, Praga, Berlino, Venezia, Milano. Ovunque furono rovesciati i governi e costituiti i governi provvisori, nell'intento di promulgare una Costituzione per ridefinire l'assetto del sistema politico. Rapidamente però i contrasti tra moderati e radicali e l'esplodere di complesse questioni nazionali che si inserirono nel conflitto tra monarchia assoluta ed istanze liberali, non resero possibili gli equilibri politici auspicati durante la rivoluzione; così i sovrani e le vecchie classi dirigenti poterono riprendere il controllo della situazione.

Il 1848 in Italia: la Prima Guerra d'Indipendenza
Nel 1848 in Italia le rivolte furono diretta conseguenza dei
moti parigini e viennesi e testimoniano la crescita del movimento liberale italiano che aveva fatto un passo avanti con l'elezione a Papa di Pio IX, che avviò una politica di riforme d'ispirazione liberale, concedendo un'amnistia per i reati politici ed istituendo una CONSULTA di STATO. Questi provvedimenti, pur non avendo intenti rivoluzionari, aprirono una nuova fase politica in Italia.
In Piemonte ed in Toscana i sovrani concedettero delle riforme istituzionali, concedendo una limitata libertà di stampa e cambiando in senso liberale l'ordinamento giudiziario e di polizia; questi provvedimenti erano stati da tempo auspicati dalle classi popolari e dall'opinione pubblica borghese.
Dove non furono fatte queste concessioni, come nel Regno delle Due Sicilie, esplosero le rivolte. A Palermo una rivolta popolare, che si estese anche a Napoli, costrinse il sovrano a concedere la Costituzione. Questo fatto ebbe ripercussioni in tutti gli Stati Italiani.
A Torino le pressioni popolari tendenti ad ottenere la Costituzione, costrinsero
Carlo Alberto, diventato re dopo la morte dello zio Carlo Felice, a concedere lo Statuto, cosiddetto «Albertino» (4 marzo 1848) e fu subito imitato dal Granduca di Toscana.
Appena si sparse la notizia che a Vienna era scoppiata una sommossa liberale e
Metternich era stato costretto alla fuga, la popolazione veneziana insorse, liberò dalle prigioni due noti patrioti, Manin e Tommaseo, che si posero alla guida dell'insurrezione e proclamarono la Repubblica dopo aver cacciato gli Austriaci.
La notizia si propagò nel Lombardo-Veneto: il 18 marzo Milano insorse ed in 5 giornate le truppe austriache furono sconfitte e costrette a rifugiarsi nel «
QUADRILATERO» (formato dalle città di Mantova, Peschiera, Verona e Legnago). Anche le altre città lombarde insorsero mentre a Milano si formava un governo provvisorio diretto da forze moderate capeggiate da Gabrio Casati. A questo gruppo si contrapponevano i democratici capeggiati da Carlo Cattaneo e Angelo Cernuschi.
I fatti di Venezia e Milano si diffusero in tutta la penisola: a Parma gli insorti costrinsero il Duca a concedere la Costituzione, a Modena il Duca preferì abbandonare la città; colonne di volontari si mossero da ogni angolo d'Italia in aiuto dei governi provvisori di Venezia e Milano. Durante questi fatti, esponenti della borghesia liberale e dell'aristocrazia si erano rivolti a Carlo Alberto perché intervenisse contro l'Austria. I liberali moderati che guidavano i governi provvisori pensavano che solo con l'intervento di un esercito regolare si potesse sconfiggere definitivamente l'Austria. Questa richiesta era anche motivata dalla preoccupazione che le sommosse prendessero una piega radicale e repubblicana: le divergenze fra moderati e democratici rimanevano profonde, perciò i moderati puntavano sull'iniziativa sabauda per togliere spazio al movimento popolare e dare alla Casa dei Savoia l'immagine di difensore dell'indipendenza e dell'unità nazionale.
Premuto da queste sollecitazioni e dal timore che nel Regno di Sardegna si potessero verificare fatti analoghi a quelli di Milano e di Venezia, Carlo Alberto dichiarò guerra all'Austria il 23 marzo 1848 (
PRIMA GUERRA D'INDIPENDENZA). L'entusiasmo dei liberali costrinse i sovrani di Toscana e Napoli e lo stesso Papa ad inviare contingenti di truppe in aiuto dell'esercito sabaudo. Dopo i primi successi (Milano, d'altronde, si era già liberata da sola!) la condotta militare suscitò molte perplessità per lentezza ed incertezze. L'eccessiva fretta con cui Carlo Alberto puntava all'annessione della Lombardia piuttosto che impegnarsi ulteriormente contro gli Austriaci, insospettì i rivoluzionari ed anche gli altri sovrani, che, uno dopo l'altro, a cominciare da Pio IX, ritirarono le truppe.
L'azione militare non procedeva perché Carlo Alberto era soprattutto preoccupato di chiudere ogni spazio all'iniziativa popolare ed ai democratici. In questo quadro le prime sconfitte piemontesi fecero precipitare la situazione. A CUSTOZA, dopo 3 giorni di combattimento, il 25 luglio Carlo Alberto si ritirò lasciando Milano nelle mani degli Austriaci ed il 9 agosto il
generale Salasco firmò l'armistizio che determinò una crisi del movimento liberale aggravata dalla sconfitta dei moti insurrezionali nel Regno delle Due Sicilie, dove a maggio Ferdinando II di Borbone aveva compiuto un colpo di stato sciogliendo il Parlamento.
Ad uscire battuti furono soprattutto i moderati che avevano confidato nella monarchia sabauda; i democratici ed i repubblicani, trovando conferma alle loro idee, ripresero l'iniziativa politica: agitazioni democratiche ci furono in Toscana e costrinsero il Granduca alla fuga; esse diedero vita ad un Governo Provvisorio guidato da Guerrazzi e Montanelli.
Anche nello Stato Pontificio gli avvenimenti precipitarono: di fronte alle pressioni dei democratici Pio IX chiamò a capo del Governo un conservatore illuminato,
Pellegrino Rossi, nella speranza di evitare un inasprimento della tensione politica. Il programma di Rossi urtò contro l'opposizione dei conservatori e del clero, ma risultò limitato ai rivoluzionari. Rossi fu da quest'ultimi assassinato ed il Papa abbandonò Roma per rifugiarsi a Gaeta; dopo poche settimane fu eletta un'assemblea costituente che, il 9 febbraio 1849, proclamò la fine del potere temporale del Papato e la fondazione della Repubblica Romana con a capo un triumvirato composto da Mazzini, Armellini e Saffi.

la crisi della rivoluzione in europa
Già dalla seconda metà del 1848 la
rivoluzione cominciò ad entrare in una spirale di crisi:
- in Francia l'alleanza fra borghesia e proletariato si infranse e prese corpo una soluzione conservatrice legata all'affermazione di un nuovo leader,
Luigi Bonaparte, nipote di Napoleone, che prese il nome di NAPOLEONE III;
- in Germania i contrasti tra moderati e democratici non riuscirono a comporsi e le monarchie prussiana ed austriaca s'imposero di nuovo;
- in Italia, sotto la pressione dei democratici, riprese il conflitto austro-piemontese, sospeso dall'
armistizio di Salasco. La guerra fu subito sfavorevole alle truppe piemontesi, perché l'Austria era in netta ripresa sul piano politico e militare; essa durò appena 80 ore ed il 23 marzo, a Novara, le truppe sabaude subirono una gravissima sconfitta che costrinse Carlo Alberto ad abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Questi, a Vignale, firmò un armistizio particolarmente gravoso per il Piemonte, in base al quale l'Austria avrebbe occupato il novarese ed avrebbe avuta una guarnigione ad Alessandria.
L'esito della guerra diede nuove possibilità d'iniziativa ai conservatori. In Toscana i grandi proprietari ed il clero, grazie all'intervento armato dell'Austria, riuscirono ad abbattere il governo democratico, richiamando dall'esilio il Granduca. Solo Venezia e Roma rimanevano come focolai di rivoluzione; ma la vittoria di Luigi Bonaparte in Francia accelerò la fine della
Repubblica Romana, mentre l'Austria stringeva d'assedio Venezia, già prostrata dal colera e dalla fame. Per guadagnarsi l'appoggio dei moderati cattolici e del clero francese, Luigi Bonaparte intervenne con un corpo di


spedizione; sbarcato a Civitavecchia, costrinse la Repubblica Romana, nonostante l'accanita resistenza delle truppe comandate da Giuseppe Garibaldi, alla resa ed al reinsediamento con la forza di Pio IX. Anche Venezia, stremata dall'assedio, dalla fame e dal colera, avviò le trattative per la resa che avvenne, con l'onore delle armi, il 02 agosto 1849, esattamente un mese dopo il crollo della Repubblica Romana.
A Milano, a Vienna, a Praga, a Budapest, a Roma ed a Venezia la vittoria della controrivoluzione fu seguita da una reazione sanguinaria e barbara che lasciò sconcertata l'opinione pubblica liberale europea. Tutte le Costituzioni furono annullate, mentre quella francese si adattò a legalizzare la dittatura di Luigi Bonaparte. Solo nel Piemonte di Vittorio Emanuele II rimase in vigore lo
Statuto Albertino.
Alla fine del 1849, accanto al Regno Sardo-Piemontese, l'unico Stato europeo retto da un regime liberale era l'Inghilterra, che rimase indenne dalla scossa rivoluzionaria del 1848, perché questo Paese aveva attraversato una fase rivoluzionaria diversi anni prima, nel 1839, quando si era sviluppato il
MOVIMENTO CARTISTA. Nel 1842 e di nuovo nel 1848 il Cartismo tornò alla carica, senza avere migliore fortuna di quella che ebbe ai suoi albori. L'Inghilterra, comunque, non conobbe gli sconvolgimenti del 1848, non perché non vi fossero motivi di tensione sociale, ma perché le strutture politiche inglesi dimostrarono una straordinaria capacità di mediazione e di scelta. Il Paese aveva il sistema industriale e la classe operaia più forti d'Europa; nel corso degli anni '40 si moltiplicarono le leggi sociali sul lavoro, fino a quella del 1847 che riduceva a 10 ore l'orario di fabbrica. Esisteva un sistema di dazi doganali che accrescevano di molto il prezzo dei grani importati e consentivano ai produttori interni di avere alti profitti. I liberali inglesi combatterono a lungo contro questo sistema doganale e nel 1846, a causa del cattivo raccolto, fu addirittura un governo conservatore ad abolire i dazi sul grano. Erano scelte politiche che favorivano gli imprenditori industriali rispetto ai proprietari agrari, ma esse contribuirono anche ad allentare il malessere della classe operaia. Il sistema politico inglese dimostrava così una capacità di adattamento sconosciuta ad altri paesi europei e fu questo a consentire al Paese di evitare le violente lacerazioni del 1848.

L'Italia prima dell'Unità: il decennio di preparazione
Nel clima conservatore diffusosi in Italia dopo il biennio rivoluzionario ed il ritorno dell'Austria nel ruolo di dominatrice della vita politica italiana, lo sviluppo economico della penisola risultava fortemente condizionato.
Nella Lombardia e soprattutto nel Piemonte, dove era rimasto in vita l'unico regime costituzionale l'industrializzazione si era comunque irrobustita, in particolare quella manifatturiera. Nell'Italia meridionale, invece, l'assolutismo monarchico, che favoriva il dominio delle vecchie aristocrazie terriere, impediva di fatto ogni propensione all'imprenditoria innovativa. Pertanto lo sviluppo economico ed industriale incontrava grandi difficoltà; per procedere avrebbe dovuto andare di pari passo con le LIBERTA' COSTITUZIONALI.
Dopo il 1848 occorsero una decina d'anni (il cosiddetto «DECENNIO di PREPARAZIONE») al movimento nazionale per riprendere l'attività e perché fosse in grado di realizzare il suo obiettivo principale, cioè l'unificazione del Paese. In questo decennio la parte più cospicua del movimento liberale si coagulò intorno al
programma moderato di Cavour, primo ministro piemontese. Egli seppe vedere la complessità della situazione italiana nella quale ogni disegno unitario presupponeva lo sviluppo economico e l'affermazione dei nuovi ceti borghesi. Inoltre, con grande lungimiranza, comprese la necessità di collegare la «questione italiana» al quadro delle trasformazioni delle relazioni internazionali. Per questo motivo colse l'occasione della guerra di Crimea, alla quale il Piemonte partecipò a fianco delle forze anglo-francesi contro la Russia.
Il Regno Sabaudo non ottenne vantaggi territoriali ma Cavour poté partecipare al
Congresso di Parigi e quindi alle trattative di pace. Qui riuscì a suscitare l'attenzione della Francia e dell'Inghilterra sulla questione italiana, dove la presenza dell'Austria e della Spagna costituivano una minaccia perenne ed un focolaio di tensione.
Mentre Cavour tesseva la sua trama di relazioni internazionali si intensificò anche l'azione dei democratici che avevano attraversato , durante il «DECENNIO di PREPARAZIONE» (1849-1859), una profonda crisi alimentata, da un lato, dal potere di attrazione che il programma cavouriano svolgeva nei confronti di numerosi esponenti del partito mazziniano, e dall'altro dai profondi dissensi che si manifestarono tra i democratici, tra chi rimaneva legato alla strategia politica elaborata da
Mazzini, e chi sosteneva che la rivoluzione democratica sarebbe stata destinata al fallimento se il programma di unità nazionale non fosse accompagnato da un ampio programma di riforme sociali. Solo così si sarebbe potuto coinvolgere nella rivoluzione i contadini, che costituivano la maggioranza della popolazione.
La SOCIETA' NAZIONALE ITALIANA, che raccoglieva le adesioni di gruppi consistenti di democratici, appoggiava le iniziative politiche di Cavour. Oltre che all'interno dell'Italia, Cavour riuscì a conquistare all'estero l'appoggio della Francia, che aveva sapientemente cercato fin dalla guerra di Crimea. Tali tentativi sembrarono andare in fumo quando un democratico italiano,
Felice Orsini, organizzò un attentato contro Napoleone III, che ne uscì indenne. Cavour seppe utilizzare quest'episodio per il suo scopo, presentando l'Italia come una polveriera pronta ad esplodere.
Il 22 giugno 1858, a
Plombières, Cavour incontrò Napoleone III che si impegnava ad intervenire militarmente a fianco del Piemonte se l'Austria l'avesse aggredito. Lo scopo della guerra non sarebbe stata l'unificazione d'Italia, ma la sua liberazione dall'Austria. Infatti in caso di vittoria, si sarebbero costituiti 4 Stati:
-- un REGNO dell'ALTA ITALIA, formato dallo Stato Sardo, dalla Lombardia e dal Veneto, dall'Emilia e dalla Romagna, sotto Casa Savoia;
-- un REGNO dell'ITALIA CENTRALE, formato dalla Toscana, dall'Umbria e dalle Marche, che sarebbe stato assegnato a Gerolamo Bonaparte, cugino di Napoleone III;
-- lo STATO PONTIFICIO, limitato però a Roma ed al Lazio;
-- il REGNO delle DUE SICILIE, che si pensava sarebbe andato a Luciano Murat.
Questi quattro Stati dovevano dar vita ad una federazione presieduta dal Papa.
In cambio del suo aiuto, Napoleone III avrebbe ottenuto NIZZA e la SAVOIA.
A Cavour non restava altro che farsi dichiarare guerra dall'Austria.

la conquista dell'unità: italia e germania
Dopo gli
accordi di Plombières, Napoleone III cercò di tirarsi indietro dagli impegni appena assunti. Nel Regno Sabaudo le pesanti concessioni fatte alla Francia avevano alienato alla politica del Cavour molti consensi. Tuttavia questi riuscì nel suo intento a seguito di un ultimatum mandato dall'imperatore d'Austria, Francesco Giuseppe, a Vittorio Emanuele II, nel quale questa chiedeva il disarmo dell'esercito sabaudo stanziato al confine del Ticino. L'ultimatum fu respinto ed il 26 aprile 1859 l'Austria dichiarò guerra agli Stati sardi. Iniziava così la SECONDA GUERRA d'INDIPENDENZA.
Napoleone III fu così costretto a rispettare i patti ed a mandare a Genova un contingente di 100.000 uomini. L'esercito franco-piemontese riportò decisive vittorie sugli Austriaci a
Palestro, Montebello e Magenta, mentre Garibaldi alla testa dei CACCIATORI delle ALPI liberava Como, Varese, Bergamo e Brescia. Gli Austriaci vennero ancora sconfitti a Solferino ed a San Martino.
Queste vittorie fecero insorgere le popolazioni del Granducato di Toscana, dei Ducati di Parma, Piacenza e Modena ai rispettivi sovrani, dando vita a governi provvisori. A questo punto Napoleone III, a
Villafranca, stipulò in gran segreto l'ARMISTIZIO con l'Austria, preoccupato della situazione italiana che non gli avrebbe permesso di imporre la supremazia francese sulla penisola: con l'armistizio l'Austria cedeva alla Francia la Lombardia, perché la consegnasse al Regno Sabaudo.
Cavour, amareggiato, diede le dimissioni. Gli accordi di Villafranca prevedevano inoltre anche il ritorno dei sovrani spodestati negli Stati dell'Italia centrale, ma questa condizione si rivelò più ardua del previsto, in quanto osteggiata dalle popolazioni. D'altro lato Napoleone III era in difficoltà in quanto, interrotta la guerra, non poteva né chiedere l'annessione di Nizza e della Savoia né giustificare all'opinione pubblica la partecipazione al conflitto.
In questa situazione, Cavour, tornato al governo, giocò bene le sue carte, offrendo alla Francia Nizza e Savoia in cambio dell'Italia centrale. Venne fatto così un notevole passo in avanti verso l'unificazione, anche se, a dire il vero, in Italia si era ormai già avviato il processo inarrestabile dell'unità e dell'indipendenza.
Riprese, così, l'iniziativa democratica che scoppiò in una rivolta, a Palermo il 04 aprile 1860, guidata dai democratici
Francesco Crispi e Rosolino Pilo, con l'intento di liberare il Sud del Paese. Soprattutto Garibaldi cominciò ad arruolare volontari; la sua spedizione, passata alla storia col nome di Spedizione dei Mille, partì da Quarto alla volta delle coste siciliane. L'11 maggio i Mille sbarcarono a Marsala e riportarono un decisivo successo a Calatafimi sulle truppe borboniche. Dopo l'ennesima vittoria a Milazzo, sbarcarono in Calabria e, travolta ogni resistenza, entrarono a Napoli. Era evidente che Garibaldi non si sarebbe fermato qui. Egli, infatti, aveva intenzione di marciare su Roma e Venezia, per liberare la prima dal Governo Pontificio e la seconda da quello Austriaco, prima di consegnarle a Vittorio Emanuele II. Preoccupato per questo progetto che poteva provocare pericolose reazioni da parte delle potenze europee, Cavour decise di battere in velocità Garibaldi, facendo intervenire l'esercito sardo nelle regioni centro meridionali, con lo scopo di fermare l'«Eroe dei Due Mondi» prima che potesse giungere nello Stato Pontificio. Fu così che il 26 ottobre Garibaldi, a Teano, incontrò Vittorio Emanuele II, nelle mani del quale rimise ogni potere, e si ritirò nell'isola di Caprera.
Il 17 marzo 1861 venne così proclamata la fondazione del
Regno d'Italia di cui Vittorio Emanuele II fu proclamato re «per grazia di Dio e per volontà della nazione».
Mentre si realizzava l'unità d'Italia,
Otto von Bismark, cancelliere della Prussia, iniziava la sua politica di espansione negli Stati Tedeschi; quando il re di Danimarca tentò di annettersi 2 ducati contigui, la Prussia gli dichiarò guerra e dopo una rapida vittoria proclamò l'annessione dei 2 ducati.L'Austria non poteva consentire che la Prussia si espandesse, per cui le dichiarò guerra. L'Italia si schierò con la Prussia contro l'Austria, nella speranza di strapparle il Veneto: la vittoria di SADOWA, nel 1866, sull'esercito austriaco concluse le ostilità. Sul fronte italiano, tuttavia, la guerra fu disastrosa: quella che fu chiamata TERZA GUERRA d'INDIPENDENZA si concluse con due clamorose sconfitte a Custoza ed a Lissa. L'unica vittoria fu riportata da Garibaldi a Bezzecca.
Venne stipulata a Vienna una pace con la quale l'Austria fu espulsa dalla Confederazione Tedesca ed il Veneto, affidato alla Francia, venne passato all'Italia.
Sconfitta l'Austria, a Bismarck non rimaneva che eliminare l'opposizione francese. Il conflitto nacque quando lo Stato Tedesco sembrò aspirare al vacante trono di Spagna; la Francia, preoccupata di rimanere circondata dalla Corona prussiana, dichiarò guerra alla Prussia. Nel giro di 6 settimane, le armate prussiane, ottimamente preparate ed equipaggiate, costrinsero alla resa l'esercito francese, facendo prigioniero lo stesso Napoleone III a
Sedan il 2 settembre 1870. I parigini decretarono così la fine del Secondo Impero e proclamarono la Repubblica (La Comune).
Il 18 gennaio 1871,
Guglielmo I fu proclamato imperatore della Germania: nasceva così il SECONDO REICH.

1850-1870: la seconda rivoluzione industriale
Durante il periodo che va dal 1850 al 1870 lo sviluppo industriale fu un fenomeno generalizzato a livello europeo. Questo periodo passa sotto il nome di
SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE. Il settore trainante fu quello dei trasporti: furono costruite in tutto il continente 75.000 km. di strade ferrate e ciò permise di raggiungere nuovi mercati per la vendita dei prodotti industriali ed agricoli, ma anche di alimentare una continua domanda di ferro e carbone (quest'ultimo veniva utilizzato sia come fonte energetica per azionare le locomotive sia come elemento essenziale per il funzionamento delle macchine a vapore industriali).
Parallelamente si svilupparono anche i trasporti via mare. L'industrializzazione appare così un meccanismo propulsore che permise l'allargarsi dei mercati, la crescita del commercio internazionale dei beni di consumo e lo sviluppo dell'industria siderurgica e meccanica per la costruzione di ferrovie e navi. Tuttavia lo scambio di beni di consumo non ebbe un ruolo trainante nell'economia europea a causa degli scarsi redditi dei ceti popolari.
Oltre all'industria anche l'agricoltura conobbe un intenso sviluppo basato principalmente sull'aumento della domanda di prodotti alimentari, causata dall'aumento demografico e sul potenziamento della produttività dei terreni, grazie soprattutto ad attrezzi sempre più efficienti ed a miglioramenti dei sistemi di rotazione.
La prima conseguenza visibile di queste trasformazioni furono massicce migrazioni di contadini dalle campagne verso le città, che si trovarono ben presto ad avere cospicue quantità di forza-lavoro. Nacque in questo periodo un mutamento della divisione internazionale del lavoro per cui i Paesi europei maggiormente industrializzati scambiarono i propri manufatti e le tecnologie coi prodotti agricoli dei Paesi meno sviluppati.
La prima fase dell'industrializzazione si autofinanziò, ma a lungo andare divenne sempre più onerosa, cosicché, nella seconda metà del 1800, cominciarono a sorgere nuovi tipi di banche e di società, come le S.p.A., con lo scopo di raccogliere capitali da investire poi nello sviluppo industriale. In particolare, in Francia fu creato il «CRÉDIT MOBILIER» che basò la propria attività sul risparmio di massa, da investire nell'industria.
In Germania invece si crearono molte piccole banche con lo scopo di intervenire nei settori più bisognosi di capitali.
In Inghilterra invece industria e banca rimasero separate.
A tutto questo va aggiunto che, oltre a questi scopi, le banche europee si riservarono anche quello di emettere moneta. Nel campo giuridico rivestirono un ruolo importantissimo le S.p.A.: infatti attraverso l'emissione di azioni esse permettevano di rastrellare risparmi. Si cominciarono ad emettere anche le obbligazioni.
Per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro si cominciò a fare sempre più massicciamente ricorso alla sua DIVISIONE ed alla sua PARCELLIZZAZIONE.
La SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE riguardò più paesi della
PRIMA, si diffuse in Europa ma soprattutto toccò gli Stati Uniti. In questo periodo si nota la continua ricerca di terre dalle quali ricavare materie prime e che richiedessero prodotti finiti nostrani: è questo il fenomeno del neocolonialismo.

La crisi del 1873-1896: l'età dell'imperialismo
Fu questo il periodo della prima grande
crisi del capitalismo, il cui motivo occasionale fu l'ondata speculativa del 1871-'73. Le manifestazioni più evidenti della crisi furono il crollo dei prezzi ed il blocco degli investimenti; questi però avevano delle cause più profonde. La principale causa consisteva nella sproporzione tra quantità di beni prodotti da un'industria ormai mondiale e la limitata capacità di assorbimento del prodotto.
La crisi fu tale che cambiò radicalmente l'organizzazione della società industriale; cambiò il ruolo dello Stato, che da liberista divenne protezionista per chiudere i mercati interni alla concorrenza straniera. Cambiò la configurazione del sistema produttivo: se prima era composto da un gran numero di piccole e medie imprese poi fu dominato da un numero limitato di monopoli e cartelli. Cambiò infine il sistema mondiale dell'economia: sino ad allora il predominio economico dell'Occidente si era basato su strumenti prevalentemente economici, ora tale predominio si avviava a diventare militare e politico. Era nato l'IMPERIALISMO.
La dovevano servire a creare nuovi sbocchi ai prodotti dei Paesi colonialisti. Ad avviare tale processo di colonizzazione fu l'Inghilterra, già da un secolo dominatrice di un
vasto Impero che raggiunge ora ¼ del mondo. Alle colonie precedenti aggiunge ora il Canada, l'Australia, la Nuova Zelanda ed in ASIA: la Birmania, la Malesia, Hong Kong, i territori dell'India e del Pakistan; in AFRICA possedeva le colonie del Golfo di Guinea, la Nigeria, la Costa d'Oro, la Sierra Leone ed il Gambia a cui si aggiunse il controllo di una larga fascia di territori dal Mediterraneo al Capo di Buona Speranza, l'Egitto, il Sudan, l'Uganda, il Kenya e la Rhodesia. Inoltre si costituì l'Unione Sudafricana, uno Stato autonomo sottoposto al controllo inglese.
Altro Paese colonizzatore fu la Francia che già possedeva in AFRICA il Senegal, l'Algeria e la Costa d'Avorio a cui annesse il protettorato sulla Tunisia, il Congo occidentale, il Sudan occidentale, il Madagascar; a ciò si aggiunse, raggruppati nell'Unione indocinese, l'Annam ed il Laos.
Anche l'Italia tenterà le
conquiste coloniali in Eritrea ed in una parte della Somalia.
La Germania, a partire dagli anni '80, stabilì rapidamente il suo dominio nel Togo, nel Camerun, Africa sud-occidentale tedesca ed Africa orientale tedesca, diventando il terzo impero coloniale. Diversa fu la penetrazione nel continente asiatico; se in Africa non avevano incontrato quasi resistenza, più difficoltà vi incontrarono qui, dove si trovarono società più evolute e quindi più difficili da conquistare e soprattutto più numerosi furono coloro che ambivano alle conquiste; ai Paesi Europei si aggiunsero infatti Russia, Giappone e Stati Uniti.
L'imperialismo delle grandi nazioni, giustificato con l'ideologia delle missione civilizzatrice e con l'apertura degli sbocchi all'immigrazione, innescò tra i popoli colonizzati un'iniziativa di rivalsa e fece nascere un nuovo nazionalismo.

Le trasformazioni del Sistema Politico e la Politica Internazionale fra '800 e '900
Nel quarantennio fra il 1870 ed il 1910 il mondo occidentale conobbe una profonda trasformazione del suo sistema politico, con il progressivo ingresso della masse nella vita politica degli Stati, attraverso lo sviluppo dei sindacati e la creazione dei PARTITI SOCIALISTI. Questo processo fu reso possibile dall'abbandono da parte del socialismo internazionale della prospettiva rivoluzionaria, sostituita dal riformismo gradualista e legalitario. Su questa base si riformò un'altra associazione del movimento operaio: la SECONDA INTERNAZIONALE.
Se la classe operaia giunse a partecipare direttamente alla politica attraverso i
partiti socialisti, più contorto fu il percorso delle masse contadine: una parte si orientò verso il socialismo, una parte fu la base di massa dei partiti reazionari, una parte ancora si avvicinò alla organizzazioni cattoliche.
La base strutturale che alimentò l'allargamento del sistema politico fu la progressiva massificazione della società, determinata dall'accesso ai consumi di settori sempre più larghi delle popolazioni e dalla diffusione di modelli sociali prima appannaggio dell'élite.
Per quanto attiene la politica internazionale, tra il 1870 e la prima guerra mondiale le relazioni diplomatiche tra le potenze europee furono dominate dagli orientamenti della politica estera del REICH tedesco, mentre oltreoceano emergevano le due grandi potenze degli Stati Uniti e del Giappone.
I processi politici che caratterizzarono le vicende interne dei grandi Stati Europei consistettero nel riemergere e nell'affermarsi di tendenze politiche fortemente conservatrici ed antidemocratiche. I governi tesero ad imporre soluzioni politiche autoritarie allo scopo di colpire soprattutto i partiti socialisti e gli sforzi di emancipazione della classe operaia.
Antiparlamentarismo e militarismo furono le tendenze che animarono le forze di governo o di potenti gruppi di pressione. In Francia, per esempio, le forze reazionarie si coalizzarono intorno al ministro della guerra
Georges Boulanger. Le elezioni del 1889 confermarono però la maggioranza repubblicana (dopo il crollo di Napoleone III e l'esperienza della Comune fu proclamata la TERZA REPUBBLICA). subito dopo l'opinione pubblica fu scossa da un avvenimento che ebbe larghissima risonanza, l'AFFAIRE DREYFUS, che era un capitano ebreo-alsaziano condannato ai lavori forzati sotto la falsa accusa di spionaggio a favore della Germania. Attorno a questo caso si radicalizzò l'antagonismo fra Destra nazionalista e Sinistra repubblicana.
Solo l'Inghilterra si differenziò da questo quadro; nonostante l'alternarsi alla guida del governo di liberali e conservatori e più precisamente fra
Gladstone, pacifista e democratico, e Disraeli, fautore di una politica di espansione coloniale, venne condotta con continuità ed efficacia una politica riformatrice, come ad esempio l'allargamento del suffragio universale (maschile) che portò il corpo elettorale inglese da 3 a 5 milioni di unità.
Negli ultimi anni del 1800, però, l'economia inglese non aveva più l'assoluta preminenza del secolo precedente. Questo riflusso economico ebbe conseguenze politiche, infatti l'inasprimento dei conflitti sociali, alimentati dalla disoccupazione e dai bassi salari, travolse il cauto riformismo dei conservatori. Nel 1906 i liberali conquistarono la maggioranza parlamentare dando vita ad un vasto programma di riforme sociali: giornata lavorativa di 8 ore per i minatori, assicurazione contro gli infortuni, assistenza agli operai. Per varare questo programma il Governo propose una rigida politica fiscale basata sulle imposte dirette che colpivano maggiormente gli alti redditi.

IL DIFFICILE EQUILIBRIO EUROPEO:
I RISCHI DI GUERRA IN EUROPA E IL “CONCERTO DELLE POTENZE”:
Accanto all’ascesa di due grandi potenze come gli Stati Uniti e il Giappone vi fu anche l’ascesa della Germania. Fu infatti proclamato il Reich e il cancelliere Bismark disse che il nuovo impero non avrebbe cercato di imporre la propria supremazia , poiché l’impero tedesco aveva già compiuto molte conquiste. Infatti Bismark era ben consapevole che qualunque guerra avrebbe potuto provocare la fine del Reich ;infatti vi erano al momento due unici rischi per il Reich:
La Francia manifestò un atteggiamento di revanscismo: la sconfitta nella guerra contro la Germania l’aveva demoralizzata e aveva creato in essa il desiderio di rivincita (la Francia aveva perso la guerra dovendo pagare 5 miliardi di franchi e inoltre la Germania stava procedendo all’unificazione delle due regioni dell’Alsazia e della Lorena). Dopo questa guerra Bismark cercò di attuare una politica estera volta a difendere l’ordine internazionale che era stato messo in pericolo dalla stessa guerra, ripristinando il cosiddetto “concerto delle potenze” attraverso cui i rappresentanti delle potenze, in caso di scontro o conflitto tra di loro, anziché scendere subito in guerra e usare la forza, devono ricercare soluzioni diplomatiche (trattati, congressi e conferenze).
Il secondo pericolo per il Reich fu costituito da una grande rivalità tra Austria e Russia che in questo momento si stavano contendendo ciò che rimaneva dell’impero turco, nei Balcani; ma ora le due potenze spinte da un desiderio comune, che era quello di isolare la Francia (per evitare che mettesse in atto il suo desiderio di vendetta), stipularono un’alleanza.

LA POLITICA DIPLOMATICA DI BISMARK E IL CONGRESSO DI BERLINO:
La Germania aveva il compito di garantire l’ordine internazionale.
Il primo obiettivo della politica di Bismarck fu quello di bloccare la rivalità tra Austria e Russia che avrebbe potuto causare una guerra che avrebbe portato la fine del Reich; a questo scopo Bismarck nel 1873 fece stringere un’alleanza tra Austria e Russia e ne consegui una coalizione tra il kaiser tedesco, lo zar russo e l’imperatore austriaco (chiamata appunto la lega dei tre imperatori). Questi erano spinti da un interesse comune:quello di mantenere l’ordine esistente.
Successivamente la lega e la sua stabilità furono messe in crisi a causa dell’irrisolta “questione d’oriente”. Infatti nel 1875 si scatenarono due rivolte contro il governo turco, in Bosnia e in Bulgaria. Si ruppe cosi l’alleanza tra Austria e Russia in quanto erano entrambe interessate ai Balcani. La Russia si schierò a favore dei bulgari, sconfiggendo i turchi e creando uno stato bulgaro ma soggetto ai russi.
Questo creò una grande tensione internazionale in cui Bismark svolse il ruolo di mediatore. Egli infatti nel 1878 convocò un congresso a Berlino in cui riuscì a ridurre le pretese dello zar nei balcani , per impedire un eventuale scontro internazionale ; tra Russia e impero turco vennero creati tre nuovi stati indipendenti : Montenegro, Serbia e Bulgaria.

LA TRIPLICE ALLEANZA TRA GERMANIA, AUSTRIA E ITALIA.
Nel 1879 Bismark creò un patto segreto con l’Austria, con il quale egli garantiva il suo aiuto militare all’Austria ,in caso di attacco da parte della Russia.
Successivamente Bismark riprese la sua azione diplomatica riuscendo successivamente a ricostituire la lega dei tre imperatori(Germania. Austria e Russia).
In quegli anni la Francia riuscì a rimettersi in gioco portando sotto il suo protettorato la Tunisia; questo fatto non aveva niente a che vedere con la Germania però aveva comunque compromesso l’ordine internazionale. Infatti la Francia creò un conflitto di interessi con l’ Italia, in quanto quest’ultima pensava di avere maggiori diritti su Tunisi;
Bismark approfittò di questa rivalità per coinvolgere l’Italia in un’alleanza difensiva contro la Francia. Inoltre l’Italia aveva già precedentemente mostrato di desiderare un alleanza con la Germania . Vi era ora un unico problema da risolvere: tra l’Austria e l’Italia esisteva un antico conflitto, per cercare di risolverlo Bismark propose a entrambe le potenze di unirsi in una triplice alleanza (1882 Germania, Austria e Italia).
Successivamente (1885) si ripresentò la questione balcanica e si temeva una guerra tra Austria e Russia . Per questo motivo la Germania creò un’alleanza segreta con l’ Austria contro la Russia; ma per evitare di crearsi l’inimicizia e l’ostilità della Russia Bismark formulò anche un trattato di controassicurazione dicendo alla Russia che la Germania avrebbe dato l’appoggio militare all’Austria in caso di un suo attacco ma disse anche che avrebbe prestato il suo aiuto militare anche ad essa in caso di attacco da parte dell’Austria (in pratica, stava facendo il doppio gioco).

LA POLITICA INTERNA IN GERMANIA: CENTRALISMO E TENDENZE PARTICOLARISTICHE
Bismark cercò di applicare quell’equilibrio che caratterizzò la politica estera anche nella politica interna.
Infatti cercò di conciliare gli interessi dei grandi proprietari terrieri con quelli della borghesia industriale, introducendo il protezionismo in particolar modo contro le importazioni di legname, cereali e metalli.
Creò un parlamento imperiale che veniva eletto a suffragio universale, anche se in realtà non era un regime parlamentare vero e proprio, in quanto il cancelliere e i ministri erano sempre subordinati all’imperatore. Quindi l’asseto liberale dell’impero fu ostacolato dalla permanenza del potere centrale.
Per quanto riguarda il campo finanziario, venne imposta una moneta comune ,il marco, che favori la creazione di una banca nazionale ,che lavorava per l’impero.
Per mantenere l’equilibrio che si era creato Bismark combatte contro ogni cosa che potesse ostacolarlo. Per questo egli combatté contro i cattolici ,iniziando la battaglia per la civiltà con cui Bismark tentò di sottomettere la chiesa al controllo dello stato .
Successivamente Bismark avendo bisogno dell’appoggio del partito cattolico abbandonò questo piano, preoccupandosi invece di combattere i socialisti che furono colpiti con duri interventi repressivi;
Nel 1888 sali al trono Guglielmo II, i cui rapporti con il cancelliere Bismark furono difficili, per via di diverse opinioni riguardo alla politica sia interna che estera.
Infatti Guglielmo pensava che lo sviluppo industriale potesse essere favorito e rafforzato solamente tramite il colonialismo e l’intervento bellico, mentre il cancelliere voleva mantenere la politica di equilibrio che aveva costituito in quegli anni il punto di forza della Germania.
Queste divergenze portarono Bismark a dare le dimissioni nel 1890 e questo segnò l’inizio della politica di Guglielmo.

L’EUROPA DIVISA IN DUE BLOCCHI:
La fine della strategia utilizzata da Bismark portò anche la fine dell’equilibrio internazionale. L’ascesa del nuovo imperatore (Guglielmo) e del tentativo degli industriali di acquisire maggior potere fece riavvicinare la Francia e l’Inghilterra e la Francia e la Russia. L’Europa si ritrovò perciò divisa in due blocchi:da una parte vi era la triplice alleanza tra Germania, Austria e Italia mentre dall’altra, la Francia, l’Inghilterra e la Russia. Se uno degli stati europei ne avesse attaccato un altro allora sarebbe entrato in azione il sistema di alleanze e si sarebbe creata una guerra che avrebbe coinvolto l’intera Europa

Nuova fase di espansione: 1900-1914
Tra il 1900 ed il 1914 l'economia mondiale conobbe una nuova fase espansiva favorita dalla crescita demografica, che diede impulso alla domanda di beni di consumo, ed alla maggiore economicità e velocità dei trasporti. Questa fase è caratterizzata dall'utilizzazione di nuove fonti di energia (elettricità e petrolio), dallo sviluppo dell'industria chimica e dell'acciaio e da una serie di innovazioni tecnologiche in molti settori produttivi.
In questo quindicennio l'economia conobbe trasformazioni radicali, in parte dovute agli effetti che la crisi del 1873/96 aveva prodotto nell'economia mondiale ed in parte dovute alla modalità dello sviluppo stesso. Tale ripresa ebbe infatti come sfondo un sistema di Divisione Internazionale
del Lavoro in cui si erano modificati i flussi di scambio fra Europa e Paesi colonizzati: da serbatoio di materie prime, le colonie erano diventate territori dove investire capitali e vendere l'eccesso di produzione delle industrie europee. La ripresa economica ebbe inoltre come protagonisti i grandi gruppi monopolistici che organizzavano enormi fabbriche e complessi industriali di dimensioni addirittura inimmaginabili nel 1800, dove il modo di lavorare cambiò radicalmente.
Fu riorganizzata la Divisione Internazionale del Lavoro ed anche la divisione del lavoro all'interno di una stessa fabbrica: fu il cosiddetto «TAYLORISMO», che consisteva nell'ottimizzazione dell'impiego della forza-lavoro attraverso la scomposizione delle mansioni, teorizzata da
Frederick Taylor ed applicata dal magnate dell'auto.
La Storia del socialismo (DA WIKIPEDIA)
primo socialismo
Il termine "socialismo" ha origine dalla
lingua francese negli anni 1820, ma l'idea che i beni dovrebbero essere in comune e tutti dovrebbero averne in egual quantità è più vecchia.
Elementi socialisti possono essere identificati nello scritto di
Platone "la Repubblica", nel movimento dei millenari nel Medioevo e nello scritto di Tommaso Moro "L'Utopia". Idee socialiste erano presenti anche tra i Levellers e tra altre sette della guerra civile inglese degli anni 1640, e anche tra i Sanculotti più radicali della rivoluzione francese degli anni 1790, anche se non ebbero mai una reale influenza. Il socialismo come corpo coerente di idee risale agli inizi del XIX secolo
I primi socialisti erano utopisti, che svilupparono visioni di società ideali basate sull'eguaglianza materiale, nelle quali gli esseri umani cooperavano nella produzione per il beneficio di tutti, senza il bisogno di incentivi materiali, e lo stato veniva sostituito da un sistema di autogoverno o di anarchia. Tra i primi pensatori socialisti troviamo: Robert Owen, Claude-Henri de Saint-Simon, Charles Fourier, Pierre-Joseph Proudhon, Alexander Herzen e Ferdinand Lassalle.
L'emergere delle idee socialiste nel
Regno Unito e in Francia, e più tardi in Germania e in Italia, furono una conseguenza della rivoluzione industriale. Lo sviluppo dell'industria manifatturiera e delle industrie collegate produsse una classe operaia. I socialisti chiamano questa classe proletariato; lavoratori che non hanno nulla da vendere al di fuori del loro lavoro. I principi socialisti si sono sviluppati con l'obbiettivo di produrre ricchezza senza sfruttamento. Il socialismo ottenne popolarità nella classe lavoratrice, e dalla metà del XIX secolo, i lavoratori costituivano l'ossatura del movimento socialista.
Molti non-socialisti dei ceti alti e del
ceto medio erano indignati dalla sfortuna della classe lavoratrice, così svilupparono il liberalismo. Questo comprendeva la convinzione che un ceto medio illuminato potesse riformare il capitalismo per produrre giustizia sociale. Molti pensatori inglesi erano all'avanguardia di questo movimento, come John Stuart Mill, che sebbene si considerasse un socialista, credeva nella proprietà privata dei mezzi di produzione e riservava il suo socialismo per i problemi della distribuzione. In Francia nel 1830 e in Inghilterra nel 1832, le idee politiche liberali trionfano, riducendo il fascino del movimento socialista.
Il marxismo e il movimento socialista
In
Germania, il liberalismo subì una terribile sconfitta nella fallita rivoluzione del 1848 e questo portò a una nuova corrente del pensiero socialista, articolata da Karl Rodbertus-Jagetzow e portata alla ribalta da Karl Marx e Friedrich Engels con il "Manifesto del Partito Comunista" pubblicato nel 1848. Marx ed Engels svilupparono un corpo di idee che essi chiamarono socialismo scientifico e che è più comunemente noto come Marxismo. Il Marxismo contiene sia una teoria della storia (materialismo storico) che una teoria della società.
Contrariamente ai socialisti utopici, Marx affrontò la questione del potere e formulò teorie riguardanti i modi pratici per conseguire e far funzionare un sistema socialista. Marx credeva che il capitalismo potesse essere rovesciato solo dalla rivoluzione, per essere seguito dalla fondazione della
dittatura del proletariato (contrapposta alla "dittatura della borghesia", ovvero il capitalismo). Marx credeva che il proletariato fosse la sola classe con sia i mezzi che la determinazione per portare avanti la rivoluzione, diversamente dai socialisti utopici, che spesso idealizzavano la vita agreste e deplorano la crescita dell'industria moderna, Marx vedeva la crescita del capitalismo e di un proletariato urbano come una fase necessaria verso il socialismo.
Avendo sviluppato molte idee, i socialisti hanno cercato naturalmente di metterle in pratica. Gruppi politici socialisti si formarono già nei primi anni del
1830, ma in principio essi fallirono nel fare breccia tra i lavoratori, che erano più interessati a formare sindacati e ottenere immediati guadagni economici entro il sistema capitalista. I gruppi socialisti tendevano anche a essere litigiosi e a soFfrire frequenti scissioni. Solo pochi decenni dopo il socialismo iniziò ad avere il supporto delle masse, e si iniziarono a formare alcune alleanze tra socialisti e sindacati.
L'
Associazione internazionale dei lavoratori (chiamata anche "Prima internazionale") venne fondata a Londra nel 1864, a una conferenza indirizzata da Marx. La maggior parte dei gruppi rappresentati a questo incontro erano di piccole dimensioni, ma a partire da quel momento crebbero rapidamente, soprattutto in Francia e in Germania. Allo scoppio della Guerra franco-prussiana del 1871, la classe lavoratrice di Parigi (o almeno una parte di essa) costituì la Comune di Parigi, che per poche settimane fece intravedere una società socialista, prima di essere brutalmente soppressa quando il governo francese riacquistò il controllo. La sezione anti-autoritaria dell'Associazione internazionale dei lavoratori, guidata da Michail Bakunin, fu espulsa dall'Associazione al Congresso dell'Aia del 1872, ed andò a formare la federazione Jura.
I marxisti lasciarono l'Associazione internazionale dei lavoratori agli anarchici, e fondarono la
Seconda Internazionale (l'Internazionae Socialista) a Parigi nel 1893, quando i partiti socialisti erano ormai già attivi nelle nazioni europee e avevano iniziato a realizzare successi elettorali. In Francia, in Spagna e in Italia, l'anarco-sindacalismo rimase forte nel movimento socialista (Fernand Pelloutier e Georges Sorel ne furono famosi esponenti francesi).
Il socialismo francese fu colpito dalla repressione della
Comune di Parigi da parte di Adolphe Thiers e del marchese di Galliffet nel 1871. Questo lo indebolì per i venti anni del periodo "realista", durante il quale i monarchici avevano governato la Terza Repubblica francese e durante la "Repubblica opportunista", quando la Francia era governata dai repubblicani moderati. Jules Guesde e Paul Lafargue (genero di Marx) crearono il Partito dei Lavoratori Francese (POF) nel 1880. Tutti i partiti socialisti si unirono per la prima volta nel 1902 con l'eccezione del Parti socialiste français di Jean Jaurès, che finalmente si fuse nel 1905, nella Sezione francese della Seconda Internazionale. D'altra parte, la parte anarco-sindacalista del movimento socialista rimase piuttosto forte in Francia, dove i sindacati rimasero indipendenti dai partiti politici, a differenza della Gran Bretagna. La partecipazione dell'indipendente socialista Alexandre Millerand al governo radicale Waldeck-Rousseau, alla fine del secolo, creò un dibattito interno al movimento socialista francese, riguardante la "partecipazione socialista a un governo borghese". La questione fu estremamente controversa dato che il marchese di Galliffet, repressore della Comune, prese anch'egli parte a tale governo. Contro Jules Guesde, Jean Jaurès sostenne la partecipazione socialista. Il dibattito riecheggiò nella Seconda Internazionale.

Il socialismo fino al 1917
Uno delle prime modifiche ai principi di Marx fu fatta nel tardo
XIX secolo, quando molti teorici politici ruppero con la nozione marxista che la rivoluzione fosse l'unico modo per andare oltre il capitalismo e che il socialismo fosse incompatibile con la democrazia. Lo stesso Marx, nella sua vecchiaia, concesse che poteva essere possibile, in alcune nazioni, ottenere il socialismo senza ricorrere alla violenza. Dopo la morte di Marx, Engels si spinse oltre, dicendo che i giorni della classica "rivoluzione di piazza" potevano essere passati.
In
Germania, dove il Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD) alla fine dell'Ottocento si era trasformato nel partito socialista più grande e forte d'Europa, la nuova generazione di leader, quali August Bebel ed Eduard Bernstein, si spinse a sostenere che, una volta conseguita la piena democrazia, una transizione al socialismo con mezzi parlamentari era non solo possibile ma anche preferibile rispetto a un cambiamento rivoluzionario. Bernstein e i suoi sostenitori vennero perciò identificati come "revisionisti", poiché cercavano di rivedere i principi classici del Marxismo. Anche se i Marxisti ortodossi del partito, guidati da Karl Kautsky, riuscirono a mantenere la teoria marxista della rivoluzione come dottrina ufficiale del partito, in pratica la SPD divenne sempre più riformista.
Anche in nazioni dove le idee revisioniste non erano accettate, i partiti socialisti si trovarono ben presto davanti a un dilemma che non riuscirono mai a risolvere soddisfacentemente. Se avessero perseguito una dottrina puramente rivoluzionaria e evitato la partecipazione alla politica parlamentare e alle lotte quotidiane dei sindacati, sarebbero rimasti delle sette isolate. Ma se avessero partecipato pienamente in queste arene, sarebbero stati trascinati sempre più nel riformismo e avrebbero perso di vista i loro obbiettivi rivoluzionari. Così, la
Sezione Francese dell'Internazionale Operaia (SFIO), fondata nel 1905, sotto Jean Jaurès e successivamente sotto Léon Blum aderì alle idee marxiste, ma divenne in pratica un partito riformista.
La più forte opposizione al revisionismo naturalmente venne dai socialisti di nazioni come l'
Impero russo, dove la democrazia parlamentare non esisteva e non sembrava possibile. Essi continuarono a sostenere che la rivoluzione fosse la sola via al socialismo. Principale tra questi fu il russo Vladimir Lenin, la cui opera La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, inquadrò le idee di quelli che rigettavano le idee revisioniste. Nel 1903 ci fu una formale divisione nel partito socialdemocratico russo tra la fazione rivoluzionaria bolscevica e quella riformista menscevica, ma nella maggior parte dei partiti socialisti la questione non fu spinta fino a quei limiti.
Nel
1914 lo scoppio della prima guerra mondiale portò a una crisi nel socialismo europeo. Contrariamente alle care convinzioni riguardanti la solidarietà internazionale del proletariato, le classi operaie dei vari belligeranti si affannarono ad andare in guerra l'una contro l'altra, e i partiti socialisti di Germania, Francia e Gran Bretagna vi vennero trascinati dentro, anche se alcuni capi, come Ramsay MacDonald nel Regno Unito e Karl Liebknecht in Germania, si opposero alla guerra fin dall'inizio. Lenin, in esilio in Svizzera, incitò alla rivoluzione in tutte le nazioni belligeranti, come unico modo per porre fine alla guerra e conseguire il socialismo. Venne inizialmente ignorato, ma nel 1917 la stanchezza per la guerra portò a scissioni in diversi partiti socialisti, soprattutto tra i social-democratici tedeschi.
La
rivoluzione russa del 1917 dimostrò le ragioni di Lenin, nel senso che la rivoluzione risultò essere il solo modo per trarre la Russia fuori dalla guerra. "Sembrò" anche dargli ragione sulla questione della rivoluzione: la Russia fu sicuramente il solo Paese del mondo dove i socialisti avevano ottenuto il potere. Questo condusse le fazioni minoritarie nella maggior parte dei partiti socialisti mondiali a scindersi e a creare nuovi partiti in supporto del modello leninista: questi furono chiamati partiti comunisti, e nel 1919 Lenin li organizzò in una nuova Internazionale, l'Internazionale comunista o Comintern.
In alcuni paesi, in particolare nel
regno Unito e nei dominion britannici, si formarono i partiti laburisti. Questi erano partiti formati e controllati dai sindacati, piuttosto che da attivisti socialisti, che fecero appello ai lavoratori per ottenere appoggio. Il British Labour Party fu eletto per la prima volta alla Camera dei Comuni nel 1902, ma non fu in grado di staccare la maggioranza delle classi lavoratrici dalla lealtà al Partito Liberale fino alla Prima Guerra Mondiale. In Australia, invece, il Partito Laburista ottenne un rapido successo, formando il suo primo governo nazionale nel 1904. Partiti laburisti furono anche creati in Sud Africa e Nuova Zelanda ma con minori successi.