lunedì 16 luglio 2012

ESTRATTI DAL CANDIDE DI VOLTAIRE

ESTRATTI DAL CANDIDE DI VOLTAIRE

CAPITOLO I.
Come Candido è allevato in un bel castello e come n'è cacciato via

Era nella Vestfalia, nel castello del barone di Thunder-ten-tronckh, un giovinetto che aveva avuto dalla natura i più dolci costumi. Se gli leggeva il cuore nel volto. Univa egli a un giudizio molto assestato una gran semplicità di cuore, per la qual cosa, cred’io, lo chiamavano Candido. I vecchi servitori di casa avevano dei sospetti che egli fosse figliuolo della sorella del signor barone, e d'un buon gentiluomo e da bene di quel contorno, che questa signora non volle mai indursi a sposare perché non aveva egli potuto provare più di settantun quarti di nobiltà, il resto del suo albero genealogico essendo perito per l’ingiuria de' tempi.
Era il signor barone uno dei più potenti signori della Vestfalia, perché il suo castello aveva porta e finestre; e di più sala con arazzi. Tutti i cani de' suoi cortili componevano in caso di bisogno una muta di caccia; i suoi staffieri erano i suoi cacciatori, e il piovano del villaggio il suo grande elemosiniere. Gli davano tutti dell’Eccellenza, e ridevano quando contava delle novelle.
La signora baronessa, che pesava circa trecentocinquanta libbre, si attirava per questo un grandissimo riguardo, e faceva gli onori della casa con una dignità che la rendeva più rispettabile ancora. La di lei figlia Cunegonda, in età di diciassett'anni, era ben colorita, fresca, grassotta, da far gola. Il figlio del barone si mostrava tutto degno germe di suo padre. Il precettore Pangloss era l’oracolo di casa, e il giovanetto Candido ne ascoltava le lezioni con tutta la buona fede dell'età sua e del suo carattere.
Pangloss insegnava la metafisico-teologo-cosmologo-scempiologia. Provava egli a meraviglia che non si dà effetto senza causa, e che in questo mondo, l'ottimo dei possibili, il castello di S. E. il barone era il più bello dei castelli, e Madama la migliore di tutte le baronesse possibili.
- È dimostrato, diceva egli, che le cose non possono essere altrimenti; perché il tutto essendo fatto per un fine, tutto è necessariamente per l'ottimo fine. Osservate bene che il naso è fatto per portar gli occhiali, e così si portano gli occhiali; le gambe son fatte visibilmente per esser calzate, e noi abbiamo delle calze, le pietre son state formate per tagliarle e farne dei castelli, e così S. E. ha un bellissimo castello; il più grande de' baroni della provincia deve essere il meglio alloggiato, e i maiali essendo fatti per mangiarli, si mangia del porco tutto l'anno. Per conseguenza quelli che hanno avanzata la proposizione che tutto è bene; han detto una corbelleria, bisognava dire che tutto è l'ottimo.
Candido ascoltava tutto attentamente, e se lo credeva innocentemente; perché egli trovava Cunegonda bella all'estremo, sebbene non avesse mai avuto l’ardire di dirlo a lei. Egli concludeva che dopo la fortuna di esser nato barone di Thunder-ten-tronckh, il secondo grado di felicità era d'esser Cunegonda, il terzo di vederla tutti i giorni, il quarto di ascoltare il precettore Pangloss, il più gran filosofo della provincia, e in conseguenza del mondo.
Un giorno Cunegonda, passeggiando presso il castello in un boschetto cui si dava il nome di parco, vide tramezzo alle fratte il dottor Pangloss che dava una lezione di fisica sperimentale alla cameriera di sua madre, vezzosa brunetta e docilissima. Cunegonda se ne ritornò tutta agitata e pensosa, pensando a Candido
L'incontrò ella nel ritornare al castello, e arrossì; Candido arrossì anch'egli; ella gli diede il buon giorno con una voce interrotta, e Candido le parlò senza saper quel ch'ei si dicesse. Il giorno dopo nell'uscir da pranzo, Cunegonda e Candido si trovarono dietro a un paravento, Cunegonda si lasciò cascare il fazzoletto, Candido lo raccattò; ella gli prese innocentemente la mano, egli innocentemente la baciò, con una vivacità, con un trasporto, con una grazia particolarissima; le loro bocche s’incontrarono, i loro occhi si infiammarono, le loro ginocchia caddero, le mani si strinsero. Il signor barone di Thunder-ten-tronckh passò accanto al paravento, e vedendo questa causa e questo effetto, cacciò via Candido dal castello a pedate. Cunegonda svenne, fu schiaffeggiata dalla baronessa appena rinvenuta che fu, ed ogni cosa fu sottosopra nel più bello e nel più delizioso di tutti i castelli possibili.

(...)

Quando Candido arrivò in Olanda, avendo sentito dire che quivi tutti eran ricchi, e che era paese di cristiani, non dubitò punto di esser trattato come nel castello del signor barone, prima d'esserne scacciato per i begli occhi di Cunegonda.
Domandò egli la limosina a molte gravi persone, ma gli fu da tutte risposto che se seguitava a far quel mestiere l'avrebbero ficcato in una casa di correzione, perché imparasse a vivere.
S'accostò quindi ad un uomo che aveva appunto finito di parlar egli solo per un’ora di seguito in una grande assemblea sulla carità. Questo oratore guardandolo a traverso:
- Che venite voi a far qui? gli disse. Vi siete voi per la buona causa?
- Non si dà effetto senza causa, rispose Candido con tutta modestia; in tutto v’è una concatenazione necessaria, e un’ottima disposizione. È bisognato ch'io sia cacciato via d'appresso a Cunegonda, ch'io sia passato per le bacchette e bisogna ch’io accatti per mangiare finché io possa guadagnarmelo. Tutto questo non poteva essere altrimenti.
- Amico, gli disse l’oratore, credete voi che il Papa sia l’Anticristo?
- Io non l’avevo ancora sentito dire, rispose Candido ma o lo sia o non lo sia, io non ho pan da mangiare.
- Tu non meriti d’averne, riprese l’altro, monello, birbante, vattene via e non mi venir mai più d’intorno.
La moglie dell’oratore fattasi alla finestra, e scorgendo un uomo che dubitava che il Papa fosse l’Anticristo, gli rovesciò addosso un vaso da notte... O cielo! a quale eccesso arriva nelle dame lo zelo di religione.
Un uomo che non era stato battezzato, un buon anabattista nomato Giacomo, vide l’ignominiosa e crudele maniera con cui si trattava uno de’ suoi confratelli, una creatura bipede implume, la quale aveva un'anima; lo condusse in sua casa, lo nettò, gli diede del pane e della birra, gli regalò due fiorini, anzi volle insegnargli a lavorar nella sua fabbrica, alle stoffe di Persia che si fanno in Olanda. Candido gli si inginocchiò innanzi esclamando: “Il maestro Pangloss me l'aveva ben detto che in questo mondo tutto è per il meglio; io sono infinitamente più commosso dell’estrema vostra generosità, che dell’asprezza di quel signore dal mantello nero e della sua moglie.”
Il giorno dopo andando a spasso s’imbatte in un accattone tutto coperto di bolle, cogli occhi smorti la punta del naso rosicchiata, la bocca storta, i denti neri, la voce affogata, tormentato da una tosse violenta, e che ad ogni nodo di tosse sputava un dente.

CAPITOLO IV.
Come Candido ritrova il suo antico maestro di filosofia il dottor Pangloss, e quel che ne segue.

Candido più commosso ancora di compassione che d’orrore, diede a quello spaventevole accattone i due fiorini che aveva ricevuti da quell’uomo dabbene dell'anabattista Giacomo. Quel fantasma gli fissò gli occhi addosso, cominciò a piangere, e gli saltò al collo. Candido spaventato si tira indietro.
- Ahimè dice un miserabile all’altro, non ravvisate il vostro caro Pangloss?
- Che ascolto? Voi il mio caro maestro! Voi in questo orribile stato! Che sciagura v’è dunque accaduta? Perché non siete voi più nel bellissimo fra i castelli? E di Cunegonda, la perla delle donzelle, il capolavoro della natura che n’è?
- Io non ne posso più, dice Pangloss.
Candido lo mena immediatamente alla stalla dell’anabattista, ove gli dà del pane a mangiare, e riavuto che fu alquanto:
- Ebbene: e Cunegonda? gli chiese.
- Cunegonda è morta, rispose quegli.
Candido svenne a tali detti; l'amico lo fece ritornare in sé con del cattivo aceto che per caso si trovò nella stalla. Riapre Candido gli occhi:
- Cunegonda è morta! O mondo l'ottimo dei possibili dove sei tu? Ma di qual male è ella morta? Forse d’avermi veduto scacciare dal bel castello del signor padre a furia di gran pedate!
- No, risponde Pangloss, ella è stata sventrata da soldati Bulgari: dopo esser stata oltraggiata quanto esser si possa. Al barone, che voleva difenderla, è stata fracassata la testa; la baronessa tagliata a pezzi, il mio povero pupillo trattato per appuntino come la sorella; e del castello non n'è rimasto pietra sopra pietra, non un granaio, non un montone, non un'anatra, non un sol albero: ma abbiamo avuta la rivincita; perché gli Abari han fatto lo stesso di una baronia vicina che apparteneva a un signore bulgaro.
A questo discorso Candido tornò a svenire; ma rinvenuto che fu, e detto quel che aveva a dire, s'informò della causa e dell'effetto, e della ragion sufficiente, che aveva ridotto Pangloss a un sì compassionevole stato.
- Ahimè disse l'altro, questo è l'amore; l'amore, il conforto dell’umano genere, il conservatore dell’universo, l’anima di tutti gli esseri sensibili, il tenero amore.
- Ahimè, disse Candido, io l'ho conosciuto cotesto amore, cotesto signor de’ cuori, cotest’anima dell'anima nostra, egli non mi ha fruttato che un bacio, e venti pedate nel messere. Come mai una sì bella cagione ha potuto produrre in voi un così abominevole effetto?
Pangloss così rispose:
- O mio caro Candido! voi avete conosciuto Pasquetta, la leggiadra damigella della nostra augusta baronessa, nelle sue braccia ho io gustato le dolcezze del Paradiso; che mi han prodotto questi tormenti d’inferno, onde lacerar mi vedete. Ella ne era infetta, forse ne è morta. Pasquetta aveva avuto questo regalo da un frate francescano molto colto, il quale era risalito all’origine: infatti egli l’aveva preso da un capitano di cavalleria, che lo doveva a un paggio, che l’aveva preso da un gesuita il quale, da novizio, l’aveva ereditato in linea diretta da un compagno di Cristoforo Colombo. Quanto a me, non lo darò a nessuno, perché sto morendo.
- O Pangloss! gridò Candido, che strana genealogia! Certamente il diavolo ne è il capostipite! -
Niente affatto, replicò quel grand’uomo: era una cosa indispensabile nel migliore dei mondi, un ingrediente necessario: poiché, se Colombo non avesse preso in un’isola dell’America questa malattia che avvelena la sorgente della generazione, che spesso anzi impedisce la generazione e che evidentemente è l’opposto del gran fine della natura, noi non avremmo né cioccolata né cocciniglia; bisogna ancora osservare che fino ad oggi questa malattia esiste solo nel nostro continente, come le dispute. I Turchi, gli Indiani, i Persiani, i Cinesi, i Siamesi, i Giapponesi, non la conoscono ancora; ma c’è una ragione sufficiente perché la conoscano a loro volta fra qualche secolo. In quest’attesa, essa ha fatto progressi meravigliosi fra noi, e soprattutto fra quei grandi eserciti composti di onesti stipendiati così cortesi, i quali decidono il destino degli Stati; si può ben affermare che, quando trentamila uomini combattono schierati in battaglia contro truppe di numero uguale, ci sono circa ventimila sifilitici da ogni parte.
- Questa è una cosa ammirevole, disse Candido, ma bisogna farvi guarire. - E come potrei? disse Pangloss; non ho soldi, amico mio, e in tutta la distesa del globo non ci si può salassare né fare un’abluzione senza pagare o senza che qualcuno paghi per noi”.
Queste ultime parole decisero Candido che andò a gettarsi ai piedi del suo caritatevole anabattista Giacomo, e gli fece un ritratto sì vivo dello stato lacrimevole in cui era ridotto il suo amico, che non esitò punto quell'uomo da bene ad accogliere il dottor Pangloss, e a farlo guarire a sue spese. Altro non perse Pangloss in questa cura, che un occhio e un orecchio. Egli aveva buona mano di scrivere, e sapeva a perfezione far di conto. L'anabattista lo fece suo scritturale. In capo a due mesi essendo per affari del suo commercio obbligato di andare a Lisbona, condusse seco i due filosofi nel suo bastimento. Pangloss gli spiegò come il tutto era l’ottimo. Giacomo era d’un altro parere. Bisogna, ei diceva, che gli uomini abbiano alquanto corrotta la natura, perché non son nati lupi, e lupi divengono; Dio non ha dato loro né cannoni da ventiquattro, né baionette, ed essi son fatti per distruggersi con baionette e cannoni. Potrei metter su questo conto e i fallimenti e la giustizia che mette le mani su' beni de' falliti per defraudarne i creditori. - Tutto questo, replicava il guercio dottore, era indispensabile, e le sciagure particolari fanno il bene generale; talmente che più disgrazie particolari vi sono, più tutto è ottimo.
Nel tempo che ei ragiona l'aria si oscura, si scatenano i venti da quattr'angoli del mondo, e il bastimento è assalito in vista del porto di Lisbona da orribile tempesta.

CAPITOLO VI.
Come si fece un bell'auto-da-fè per impedire i terremoti e come Candido fu frustato.

Dopo il terremoto che aveva distrutto tre quarti di Lisbona, i dotti del paese non avevano trovato mezzo più efficace per impedire una total rovina, che di dare al popolo un bell'auto-da-fè. Era stato deciso dall’Università di Coimbra che lo spettacolo di qualche persona bruciata a fuoco lento in gran cerimonia era un segreto infallibile per impedire che la terra non si scuota. Avevano in conseguenza catturato un biscaglino convinto d’aver sposato la comare, e due portoghesi che, mangiando un pollastro, ne avevano levato il lardo; si venne poi dopo pranzo alla cattura del dottor Pangloss, e di Candido suo discepolo; di quello per aver parlato, e di questo per aver ascoltato in aria d'approvazione. Furono tutti e due condotti separatamente in appartamenti freschissimi, ne' quali non s'era mai infastiditi dal sole. Otto giorni dopo furono tutti rivestiti d'un sambenìto, e vennero loro adornate le teste di mitre di carta, la mitra e il sambenìto di Candido eran dipinte con delle fiamme all’ingiù, e con de' diavoli senza grinfie e senza coda; ma i diavoli nel sambenìto di Pangloss avevano grinfie e coda, e le fiamme erano dritte. Andarono così vestiti a processione e sentirono un sermone assai patetico seguito da una bella musica in falso bordone; Candido fu frustato sul messere a tempo di battuta mentre cantavano; il biscaglino e quei due che non avevano voluto mangiar del lardo furono bruciati, e Pangloss fu appiccato, benché non sia questo il costume. Il medesimo giorno vi fu un'altra scossa di terremoto con un fracasso spaventevole. Candido spaventato, confuso, smarrito, tutto insanguinato, tutto affannato diceva fra sé: “Se questo mondo è l’ottimo dei possibili che mai son gli altri? Se io non sono stato altro che nerbato a posteriori, lo sono stato anche fra i Bulgari; ma, o mio caro Pangloss, il massimo de' filosofi, ho io dovuto vedervi impiccare senza ch’io sappia perché! Oh mio caro anabattista, ottimo degli uomini, dovevo io vedervi annegare nel porto! O Cunegonda, perla delle fanciulle, era necessario che vi spaccassero la pancia! ”